Atleti d’oggi e zie d’altri tempi
Una via qualsiasi, al termine di un giorno lavorativo, davanti a una palestra che “fa tendenza” di Bolzano.
Una selva di macchine e motorini parcheggiati alla rinfusa sul marciapiede antistante l’entrata lascia a malapena lo spazio per il passaggio di un pedone. Una carrozzella sarebbe costretta a scendere in strada per aggirare l’ostacolo.
Un ciclista (io) guarda incuriosito la scena. Mi chiedo che cosa avrà costretto tanta gente a piazzare il proprio bolide in quel modo, mi auguro ci sia un buon motivo! A meno di cento metri c’è un’ampia area di sosta gratuita, mi prendo la briga di andare a controllare. Una rapida occhiata basta a constatare che i posti liberi sono ancora molti… OK, tutto spiegato: si tratta di un banalissimo caso di poltronite acuta!
“Machi” forzuti, leggiadre e atletiche donzelle non sono dunque in grado di fare questi quattro passi a piedi, devono avvicinare il sedere il più possibile alla destinazione, magari ci potessero anche entrare con l’auto, questo sarebbe il massimo!
Che volete, fuori fa freddo, non siamo più abituati agli sbalzi di temperatura, si passa il giorno a calcare le chiappe sulla seggiola di un confortevole ufficio ed è fin troppo facile poi buscarsi un raffreddore!
Resto lì un attimo, tra l’attonito e il divertito, a osservare le abitudini di persone che tanto malandate non devono essere, considerato il fatto che si impegnano in attività (pseudo, antepongo io) sportive.
Mi sovviene a quel punto la storia raccontatami qualche anno fa, la classica storia dei tempi che furono.
Ne sono protagoniste le ormai anziane e simpatiche zie di una mia amica. Queste signore tra gli anni 50 e 60 erano balde giovinette che avevano trovato il tanto sospirato posto di lavoro a Torbole, sulle rive del Lago di Garda. Il problema era che esse risiedevano a Rovereto, a una quindicina di chilometri di distanza, e a quei tempi l’automobile era un lusso che pochi potevano permettersi.
Così, due volte al giorno, le ragazze si “cuccavano” in bici (sottolineo “in bici”) il Passo San Giovanni, e lascio immaginare quali fossero i potenti mezzi a disposizione nel dopoguerra.
Chi ha scalato il San Giovanni dal versante gardesano sa che la salita mozza il fiato almeno quanto la vista sul sottostante lago. Non per niente l’itinerario è spesso percorso anche dal Giro ciclistico del Trentino per professionisti!
Mi tornano alla mente i loro racconti sulle piccole disavventure durante i quotidiani trasferimenti, tra forature e avversità atmosferiche, e mi stupisco di quanto la vita potesse essere diversa (leggi: più dura, molto più dura) solo pochi decenni fa.
Zie d’altri tempi, non c’è che dire. Quasi eroine, se rapportate ai giorni nostri.
Torno in me e al ridicolo spettacolo che mi trovo davanti.
Mi viene da sbellicarmi dalle risate al pensiero di questi moderni “atleti” che cedono alle potenti pedalate delle vecchie zie sulle rampe del San Giovanni. Preferisco evitare il penoso confronto, è troppo anche per me, da sempre acerrimo nemico del Dio Motore e dei suoi adepti.
Ormai la delicata fragranza dell’alberello alla vaniglia ha soppiantato la robusta fibra delle vecchie zie, questa è la realtà.
Ne usciamo davvero con le ossa rotte.
Se questo è il prezzo del progresso, poveri noi!
Imparare, imparare da quelle persone lì! Altro che adesso che la gente va in palestra a fare movimento, ma ci arriva… in macchina anche se abita a 1 Km di distanza! Piuttosto che stessero a casa!!!