Bestie all’ultimo chilometro

Milano-Sanremo 2011. Gli ultimi chilometri sul lungomare, poi una manciata di uomini si contenderà il privilegio di dimostrare al mondo la propria superiorità.
Sono la crema del ciclismo mondiale, nomi che raccolgono consensi e scatenano entusiasmi; sfilano negli eleganti viali della cittadina ligure tra la folla che applaude e si agita, ma la loro mente è da tutt’altra parte, punta l’unico obbiettivo che possa dare un senso alle fatiche della giornata: vincere!
Il gruppetto non è che una sparuta rappresentanza di quello partito da Milano quasi sette ore prima. Mancano volti più o meno noti; capita che sogni e ambizioni si debbano abbandonare lungo la strada per una caduta, un problema meccanico o semplicemente perché non era giornata. Non si può vivere sempre da leoni.
I superstiti attendono l’arrivo con lo sguardo da cannibale e non potrebbe essere altrimenti, considerato che duecentonovanta chilometri di asfalto non sono stati capaci di spegnere una certa luce nei loro occhi.
Nel gruppo, passato al setaccio scatto dopo scatto, c’è Cancellara, sorvegliato speciale: basta concedergli dieci metri e per gli altri la gara è finita. C’è Gilbert, capace di allunghi impressionanti quando la salita è quella giusta, ma oggi l’arrivo è in pianura… Nibali sogna la vittoria che lo consacrerebbe campione: sul Poggio ha appena dato grande dimostrazione di forza e cattiveria, guadagnandosi il ruolo di protagonista sull’ultimo “dente” del profilo altimetrico. Scarponi raschia il barile per potersi giocare le possibilità (poche, date le sue caratteristiche) che gli rimangono per vincere. Lui però la Sanremo l’ha già marchiata con un’impresa che rimarrà negli annali, recuperando oltre un minuto lungo la Cipressa e nei successivi km in pianura, il fisico inarcato in uno sforzo pauroso ma così composto da non tradire quasi nemmeno la fatica: da applausi a scena aperta. Poi c’è Pozzato, l’eterno incompiuto, apparentemente incapace di compiere il gran salto nella categoria dei fuoriclasse, ma oggi è lì, a giocarsela, e di questo bisogna dargli atto. Ecco la smorfia inconfondibile di Ballan: dopo la fucilata di Varese non è stato più lui, oggi ha l’occasione di rientrare nel grande giro. Anche il vecchio O’Grady, medaglia d’oro olimpica nel 2004, non disdegnerebbe certo di alzare le braccia al cielo sul traguardo di Via Roma… potrebbe essere un bel modo per mettere il sigillo sulla sua carriera. Accanto a lui, quattordici anni di fatiche e tanti trofei in meno, il francese Offredo: la vittoria sarebbe un gran bel colpo, un po’ meno per gli italiani, già impegnati oltretutto a capire dove mettere l’accento nel suo cognome! Se dovessi dare qualcuno per spacciato, indicherei di certo il belga Van Avermaet; non perché meno forte degli altri, ma per la lunga fase in acido che si è dovuto sorbire nei chilometri precedenti. Greg ci aveva anche sperato, ma trovarsi con la spia di energie in rosso e un branco di animali assetati di vittoria alle calcagna non depone per niente bene.
Strano il ciclismo. Scatti, scatti ancora, guadagni faticosamente la fuga, soffri e dai tutto, ti volti, non vedi nessuno e inizi a sognare. Poi, in vista dello striscione con la tanto agognata scritta “ARRIVO”, ti rendi conto che tutti quel litri di sudore e tutte quelle pugnalate alle gambe ti sono servite solamente ad avere una possibilità di vincere su dieci, tanti quanti sono i componenti del gruppetto che si disputerà il finale.
Ci sarebbe ancora Matthew Goss, un ragazzo australiano con un faccione un po’ paffuto. Così, di primo acchito, non punterei su di lui. Ma chissà, a volte l’apparenza inganna. E poi se è ancora lì un motivo ci sarà.
Ultimi chilometri, si diceva. Ne mancano meno di tre quando Van Avermaet viene ripreso dalle rabbiose trenate di O’Grady, costretto suo malgrado a fare da apripista per il compagno Cancellara. Corpi piegati dalla fatica percorrono il lungo vialone finale l’uno addossato all’altro, alla ricerca di un po’ di protezione dalla brezza marina. Il gruppo sbanda tra le semicurve di Via Roma come un biscione impazzito, le immagini provenienti dalle moto che precedono i corridori ricordano la pubblicità di qualche pazzo luna park di divertimenti. Per un attimo il treno si ricompatta, ma è solo un attimo. Si sgancia il vagone Offredo, buttando dentro quelle furiose pedalate una manciata di speranze subito disilluse, perché dietro di lui si muove il “mostro” Cancellara che salta il francese e prende qualche metro di vantaggio. Sale il tono del commentatore e sale anche il panico tra gli altri componenti del gruppetto. Qualcuno deve riprenderlo subito, altrimenti non resterà a disposizione che il secondo posto. Ci pensa Goss a chiudere, e per farlo deve sobbarcarsi una volata supplementare. Giusto così: lui è il favorito, almeno sulla carta, in un eventuale sprint a ranghi compatti e per tenere unito il gruppo non può certo contare sulla benevolenza degli altri.
In queste situazioni basta un attimo per sancire alleanze trasversali: ci vuole una lucidità bestiale per elaborare tutte le informazioni, secondo per secondo, e prendere la decisione giusta mentre il tuo cuore batte all’impazzata e il sudore ti cola sugli occhi.
Il sogno di Cancellara svanisce, la carta è stata giocata e non era quella vincente. Butta giù il carico Gilbert, Pozzato risponde bene e la partita resta aperta. Sono rasoiate alle quali nemmeno quadricipiti da 500 watt l’uno possono rimanere indifferenti, lo si vede dalla smorfia in faccia a tutti. Il traguardo è maledettamente vicino, l’eventualità di una volata è sempre più concreta e il nome dell’australiano sempre più sulla bocca dei telecronisti… prova Nibali, ma il rapporto non è quello giusto: lo Squalo dello Stretto ha già detto la sua sul Poggio e le tossine nei muscoli lo convincono a rientrare nei ranghi.
Poche pedalate ed è chiaro che sarà volatona. L’arrivo solitario a braccia alzate, emozionante e coinvolgente, non ci sarà. Ma i fuochi d’artificio del finale sono stati qualcosa di fenomenale. Questi ragazzi sono sopravvissuti a sette ore di sudore, fatica, cadute, sbandate, pioggia, freddo e vento in faccia, eppure alla soglia dei trecento chilometri, dopo il duello sul Poggio, hanno saputo offrire ancora un ultimo, entusiasmante spettacolo, quasi fossero a cavalcioni di potenti moto da strada. La differenza, in questo caso, è che dare gas significa chiedere al proprio fisico qualcosa che va al di là della fatica.
Questi ciclisti hanno dato tutto ciò che potevano, e anche di più. A me appaiono come vere e proprie bestie, nel senso più lusinghiero del termine, all’ultimo chilometro. Sacrifici, ritiri di squadra e allenamenti lontani da casa, diete e astinenze varie… eppure non sono cosa pagherei per essere lì, con loro, solo per tentare uno scatto, inutile, solo per scendere un attimo nell’arena e incrociare le lame con questi monumenti.
Mancano poche centinaia di metri quando parte Scarponi: giusto così, non ha nulla da perdere e non gli si poteva chiedere di più. Il resto è storia, è chiaro che ora Goss, pistard e velocista puro, può fare il gatto con gli altri a coprire il ruolo di topolini. Lo si capisce da come si acquatta dietro una ruota e balza in avanti nel momento giusto, né un centesimo di secondo prima, né uno dopo. Scelte di tempo perfette assimilate in anni e anni di sfide all’ultimo centimetro sulle piste di mezzo mondo.
Ecco, è il momento di alzare le braccia al cielo, venticinque anni da compiere e una gioia che ricorderà per la vita.
L’urlo dello speaker copre, almeno per un attimo, il frastuono del pubblico: “Maaaaatthewwwww Gosssssssss!!!”.
È lui, oggi, la bestia più forte.

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