Clima: il nuovo business?
E così Al Gore ha vinto il premio Nobel 2007 per la pace.
Lo ha veramente meritato? Difficile dirlo.
Di certo ci sono il suo impegno per l’ambiente, per l’impiego di nuove e più ecologiche fonti di energia, gli appelli ai potenti della terra per un uso più razionale delle risorse del pianeta e il grido d’allarme per l’effetto serra che nei prossimi decenni potrebbe sconvolgere l’ecosistema terrestre.
Ma dietro a questa facciata buonista rimane una domanda di fondo: quanto disinteressato è questo impegno? Quanto sta a cuore il destino della Terra a lui e a tutti coloro che cavalcano l’allarme (o l’allarmismo?) riguardo ai cambiamenti climatici? Quanto invece certi personaggi sfruttano le nostre paure per apparire gli eroici paladini di una strana giustizia ecologico-planetaria e guadagnare facili consensi?
A voler approfondire l’argomento, su internet c’è materiale a sufficienza per anni di studio. Quello che salta subito all’occhio è che politica e interessi economici sono ormai ben impastati con l’argomento “riscaldamento globale”.
Da una parte le multinazionali del petrolio e le grandi case costruttrici di automobili, che non hanno certo interesse nel vedere la fonte del loro sostentamento in tal modo demonizzato; dall’altra forze economiche e paesi emergenti, estranei al grande affare dell’oro nero, che vedrebbero nell’affermarsi di nuove tecnologie il modo di entrare prepotentemente nel mercato mondiale. Industrie produttrici di turbine a vento, di pannelli solari, di motori a idrogeno, di centrali nucleari… si parla di un giro d’affari di una valanga di miliardi di euro! E poi ci sono i catastrofisti a tutti i costi, coloro che vedono strambe macchinazioni a livello planetario dietro a qualunque cosa.
Chi soffia sul fuoco, dunque, e chi invece ha tutto l’interesse a tener spente le braci.
Ma davvero l’ecosistema terrestre sta giungendo a un punto di non ritorno? Per molti non vale la pena nemmeno di porre l’interrogativo. È così e basta.
Eppure vi sono anche voci contrarie, che faticano a giungere all’orecchio della grande massa e che forse proprio per questo meritano di essere attentamente valutate.
L’Intergovernmental Panel on Climate Change (Comitato intergovernativo sul mutamento climatico, IPCC) è un comitato scientifico formato nel 1988 allo scopo di studiare il riscaldamento globale.
Gore si è basato proprio su questi studi per affermare nel suo film-documentario (premiato tra l’altro con un Oscar) che nei prossimi decenni si avranno una serie di gravi conseguenze a livello planetario: dal drammatico innalzamento degli oceani, con l’invasione da parte delle acque di vaste aree popolate, passando per lo scioglimento dei ghiacci della Groenlandia con gravi ripercussioni sul clima europeo e arrivando alla desertificazione di molte aree già sofferenti del mondo.
Considerazioni allarmanti ma del tutto lecite, nulla da eccepire; i segnali di un cambiamento climatico ci sono, eccome.
Ma un cambiamento rispetto a che cosa? Esiste dunque una sorta di “copione” al quale il clima si deve sempre e comunque attenere? Studiando la storia del pianeta Terra si direbbe proprio di no.
Nel corso della sua lunga esistenza, il nostro mondo ha visto l’avvicendamento di periodi molto più caldi o più freddi di quelli attuali. I dinosauri, per esempio, prosperarono in un contesto climatico tropicale che interessava buona parte del pianeta. Delle calotte polari, allora, non vi era nessuna traccia. O meglio: non ve ne fu traccia per lunghi periodi (l’unità di misura sono le migliaia o i milioni di anni), perché anche allora le oscillazioni climatiche si verificavano eccome!
E che dire delle ere glaciali? Fino a dodicimila anni fa (poco più di un battito di ciglia su scala geologica!) i ghiacciai alpini occupavano gran parte delle nostre valli e andavano a traboccare in Pianura Padana!
Più vicino a noi, ricordiamo il periodo dell’optimum climatico medievale, durante il quale i ghiacciai erano relegati a quote più elevate di quelle attuali.
I “serristi” ribattono che, effettivamente, i cambiamenti climatici ci sono sempre stati, ma mai con questa rapidità. Essi si sono sempre verificati con una lentezza tale da permettere alle specie viventi di adattarsi gradualmente alle mutate condizioni o di migrare verso zone più favorevoli al loro sostentamento.
Negli ultimi decenni, grazie a nuovi carotaggi e a ricerche più approfondite, sembra però sfumare anche il mito di questa inerzia dei mutamenti climatici (si legga qui).
Si consideri il caso del “Dryas recente”, un periodo risalente a circa 11.000 anni fa durante il quale la Terra, ma soprattutto il continente europeo, ripiombarono in una nuova, breve fase molto fredda. Tale periodo chiamato fu caratterizzato da un raffreddamento improvviso che sarebbe maturato in alcuni decenni e avrebbe avuto una durata di 1000 anni, sfumando poi quasi improvvisamente nella fase post-glaciale.
E che dire della “piccola età glaciale”, un periodo compreso tra il 1300 e il 1850, durante il quale i ghiacciai terrestri mostrarono una generale tendenza all’espansione? Qui si parla di decenni o al massimo qualche secolo, non certo di migliaia o milioni di anni!
Qualcuno giunge addirittura a ipotizzare il fatto che il riscaldamento globale non esista per nulla, o perlomeno che sia molto meno marcato di quanto si voglia far credere. L’argomentazione a supporto è la seguente: molte stazioni di rilevamento, che nei decenni scorsi si trovavano in aperta campagna, sono oggi circondate da cemento e costruzioni di vario tipo a causa dell’espansione delle periferie urbane. Esse si vengono dunque a trovare in quell’isola di calore prodotta dalle città, fornendo dati non più comparabili con i decenni passati. Argomento ineccepibile; non viene specificato però quante di queste stazioni si siano effettivamente venute a trovare in questa situazione.
Altri studi (non si sa quanto indipendenti), inoltre, sembrano indicare che l’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera sia successivo al riscaldamento del pianeta e non ne sia dunque la causa, ma una semplice conseguenza. I veri motivi andrebbero invece ricercate nell’attività solare e nei cambiamenti delle correnti oceaniche.
Eppure segnali forti a sostegno della fazione serrista ci sono stati. Le estati del 1998 e del 2003 verranno ricordate in varie parti del mondo come le più calde da quando sono iniziate le rilevazioni. Per non parlare dell’inverno 2006/2007, che in Europa occidentale è stato praticamente inesistente. Personalmente non insisterei, invece, sull’aumento di fenomeni “estremi” (inondazioni, siccità…) a scapito di quelli “normali”. Nessuno può dire se cento o duecento anni fa vi fossero più o meno uragani, per esempio. Qui, mancando il supporto di dati certi, si procede solamente per supposizioni.
Dunque, qual è la risposta? L’uomo è veramente in grado di modificare il clima? Oppure è ancora completamente in balia delle forze della Natura? Forse la verità sta nel mezzo?
Ai posteri, come di dice, l’ardua sentenza.
Quello che è certo è che l’occasione per fare business è ghiotta.
Un ente importante, appositamente creato per studiare il supposto cambiamento climatico in atto, potrebbe anche essere tentato di presentare i dati in maniera, per così dire, “pilotata”, in modo non solo da far perdurare la propria esistenza, ma anche da fagocitare ancor più risorse (leggasi: denaro) per ulteriori studi.
Potrebbe… ognuno si faccia la propria idea. Ma potrebbe anche avere fondamento l’ipotesi di una certa pressione da parte delle industrie petrolifere allo scopo di frenare, per esempio, l’applicazione del protocollo di Kyoto e dell’Accordo di Parigi, che a loro procurerebbe danni incalcolabili.
Resta il fatto che per l’uomo della strada diventa difficile orientarsi e capire chi affronta il problema in modo scientifico e disinteressato. L’importante è sapere ed essere costantemente informati, per non farsi travolgere dai facili estremismi, in un senso e nell’altro.
E, grazie a internet, questo non è poi così difficile.