Diario da Marte
Spesso i ritmi del quotidiano opprimono i nostri sogni fino ad annullarli; ma che cos’è la nostra vita senza di essi?
Per fortuna esiste un luogo dalle dimensioni spropositate in cui lasciarli correre: è il cosmo, con i suoi mondi stravaganti e multicolori, incandescenti o freddissimi, fatti di dura roccia o impalpabili come un gas rarefatto. E’ sufficiente un libro di astronomia e il viaggio può iniziare.
In questo racconto ho cercato di unire il sogno di viaggiare nello spazio a una passione decisamente più terrena, ma non per questo meno affascinante: la bicicletta. Ne è scaturito un singolare diario in cui descrivo il tentativo, ambientato in un futuro nemmeno troppo lontano, di conquistare sui pedali il Monte Olimpo, il più grande vulcano del Sistema Solare, sul pianeta Marte. Un’impresa ardita, ma che sono convinto sarà alla portata dei nostri discendenti, perlomeno dei più intrepidi!
Come sempre, le conoscenze scientifiche sono il presupposto su cui vengono costruiti i miei pezzi; i dati e le osservazioni presenti nel racconto non sono dunque frutto di fantasia.
In sella, allora! Ecco come potrebbe svolgersi il racconto di questa strana avventura…
Dopo un viaggio di tre ore eccomi finalmente su Marte! L’emozione della traversata, per un novellino dello spazio come me, è stata davvero grande! In effetti l’unica escursione al di fuori dell’orbita terrestre che mi ero concesso fino a ora era stata la visita alla Luna, un classico del turismo astronomico del venticinquesimo secolo. Oggi temo di aver dato spettacolo davanti agli altri passeggeri della navetta quando, durante l’avvicinamento al pianeta, più volte mi sono alzato per fotografare le spettacolari spirali di anidride carbonica ghiacciata presenti su entrambi i poli. In quei momenti l’entusiasmo è stato tale da farmi finalmente decidere per quel viaggetto tra gli anelli di Saturno che ultimamente va così di moda… ma non corriamo troppo!
Sono approdato sulla colonia di Nuova Italia, uno dei tanti insediamenti sparsi sul pianeta. Come prima impressione direi che Marte è interessante: non è più il “deserto rosso” descritto dai primi esploratori, perché la superficie è ormai costellata di osservatori, cupole e altre amene costruzioni, ma il contesto è comunque affascinante! Da queste parti la tinta dominante, anche se non l’unica, è il rosso mattone: mi ci vorrà un po’ per abituarmi!
Dopo i controlli di rito allo spazioporto sono andato un po’ a zonzo per la base. Qui gli abitanti sembrano insensibili alla strana tavolozza di colori che si vede là fuori… ma credo che loro penserebbero la stessa cosa di noi terrestri, una volta giunti sul nostro pianeta!
L’unico impegno di oggi è stato quello di ritirare la bici e verificare che fosse tutto a posto, ma da domani si inizia a fare sul serio!
Stamani il primo pensiero è stato quello di dirigermi verso le grandi vetrate alla periferia della base. Da qui si distingue bene la Grande Barriera, l’imponente scarpata che separa di netto il Monte Olimpo dal resto del pianeta Marte e che segnerà l’inizio della mia avventura. Essa, in sostanza, è una sorta di immenso piedistallo sul quale poggia tutto il complesso montuoso. Da Nuova Italia il Monte Olimpo non è visibile: in quella direzione la Grande Barriera, alta in certi punti fino a 6 chilometri, domina tutto l’orizzonte.
Certo che la cosa è strana: mi trovo non lontano da un monte alto 27 mila metri, ma devo ricorrere all’immaginazione per capire che cosa mi aspetta!
Qualche estrapolazione al volo, giusto per far montare la tensione (come se non bastasse quella che ho in corpo): dovrò superare un dislivello pari a tre Everest messi uno sull’altro… una bella salita, non c’è che dire! Dato il diametro di circa 530 chilometri, è facile calcolare l’estensione della struttura montuosa, che ammonta a oltre 220 mila chilometri quadrati, oltre due terzi delle dimensioni del mio paese d’origine, l’Italia. Se questi numeri non bastassero a spaventarmi ci possiamo aggiungere il fatto che si tratterà di percorrere 325 chilometri, di cui i primi 50 in pianura, e superare oltre 27 mila metri di dislivello in perfetta solitudine su di un pianeta che fino a ieri avevo visitato solo nei miei sogni. Ma la sfida è di quelle da una volta nella vita.
Un giorno e mezzo di preparativi intervallati da qualche ora di sonno agitato e stamani mi sono ritrovato finalmente in sella, nell’area di decompressione alla periferia della base. Bici superaccessoriata, gel ipernutrienti, abbigliamento anti UV, respiratore, accessori miniaturizzati di ogni tipo, come è giusto che sia nel venticinquesimo secolo. Ma tutte queste diavolerie nulla hanno potuto contro l’emozione di affrontare l’ignoto. Quando la paratia si è alzata ho stretto forte il manubrio: d’ora in poi uomo e cavallo d’acciaio saranno soli contro il Monte degli Dei. Gli addetti della base mi hanno salutato con un cenno che non ho ben decifrato… probabilmente per loro sono semplicemente un tipo un po’ eccentrico alla ricerca di emozioni forti.
Per oggi mi sono bastati pochi chilometri, tanto per prendere confidenza con l’ambiente esterno, poi mi sono dedicato al montaggio della tenda e agli strumenti, per verificare che tutto funzionasse a dovere. Inutile dire che il contesto in cui mi trovo mette una certa inquietudine: ovunque mi giri il panorama non offre che un mare di sabbia rossa costellato da rocce di ogni forma e dimensione. Anche in pieno pomeriggio la luminosità non è un gran che, più o meno quella che si ha sulla Terra poco prima del tramonto; non va dimenticato, infatti, che Marte è più distante dal Sole. Il cielo è grigio all’orizzonte e nero come quello lunare sopra la mia testa, allo zenit.
Le torri di Nuova Italia sono ancora visibili, laggiù: la tentazione di girare la bici è grande, ma non vincerà.
Il primo vero giorno di viaggio (40 i chilometri coperti) mi ha portato a ridosso della Grande Barriera. Non so cosa di questa giornata mi abbia più impressionato: le incombenti pareti rocciose alte chilometri, bucherellate da un gran numero di caverne, oppure la debole forza di gravità e la scarsissima resistenza dell’aria che mi fanno letteralmente volare in bicicletta. Il terreno però è spesso viscido per una leggera patina di fango e ghiaccio, così la sensazione è quella di essere in groppa a un puledro imbizzarrito, da trattare con infinita pazienza.
Doverosa annotazione: il “pianeta rosso” non è poi del tutto rosso! Oggi, volgendo lo sguardo verso l’orizzonte, qualche fugace sprazzo di un tenue azzurro ha cercato di farmi sentire almeno un po’ a casa.
Appena calato il sole ho approfittato dell’assoluta oscurità per dedicarmi all’osservazione astronomica; stelle e costellazioni, che occupano posizioni praticamente sovrapponibili a quelle del cielo terrestre, sono ben riconoscibili e molto più brillanti grazie all’atmosfera limpidissima. Sono riuscito anche a localizzare la Terra, distante in questo periodo “solamente” un centinaio di milioni di chilometri. E’ una strana sensazione pensare che tutto ciò che possiedo, i miei affetti e la mia casa siano racchiusi in quel puntino luminoso, confuso tra mille altri.
Eccomi finalmente alle prese con la Grande Barriera… a guardarla dal basso si direbbe una muraglia invalicabile, non se ne vede la sommità! Fortuna che il navigatore mi condurrà lungo i 120 km del percorso, tracciato dai primi esploratori quasi 400 anni fa, che permette di superare l’ostacolo con una leggera ma costante ascesa. Oggi è iniziata dunque la grande scalata e finalmente darò un senso a sette mesi di estenuanti allenamenti!
Per ora mi godo il silenzio e un fantastico tramonto, che accarezza il paesaggio con una luce tenue tra il viola e il blu. Non c’è che dire, il contrasto con le distese rossastre della superficie crea un effetto veramente spettacolare! Mi rendo conto di essere un privilegiato: molti astronomi del passato avrebbero pagato qualsiasi prezzo per essere al mio posto. Mi riferisco, per fare un paio di esempi, all’astronomo e divulgatore scientifico Camille Flammarion, autore di romanzi che anticiparono il genere fantascientifico e di cui io, con l’impresa che sto tentando, potrei essere uno dei protagonisti. Ma penso anche a Giovanni Schiapparelli, che nel 1877 puntò il proprio rudimentale telescopio verso Marte dando il via a una lunga stagione di appassionanti scoperte.
Questa sera, di fronte a un tale spettacolo, non posso che rivolgere loro un pensiero di ammirazione e gratitudine.
La scalata della Grande Barriera non poteva iniziare in modo peggiore: da questa notte una forte tempesta di sabbia rende difficile anche solo affacciarsi fuori dalla tenda. La cosa era prevista, ma certo non in questi termini… è evidente che il servizio meteo marziano deve fare ancora progressi!
Curioso, però: l’atmosfera è così rarefatta che il vento, pur soffiando a quasi 200 km orari, ha la forza di una normale brezza. Se non fosse per le particelle di sabbia scagliate ovunque, potrei anche proseguire il viaggio. Per oggi quindi si rimane a bocca asciutta, a consultare le carte, e a sognare… Nel frattempo ho chiarito ogni dubbio, se ancora ne erano rimasti, sul nomignolo di “pianeta rosso” appioppato a Marte, anche se forse “pianeta ruggine” sarebbe ancor più appropriato! La sabbia in sospensione, infatti, costituita in gran parte da ossido di ferro, conferisce all’ambiente quel tipico colore rosso mattone che siamo abituati a vedere nelle foto fin dalle prime esplorazioni marziane del ventesimo secolo.
Stamani sembrava di essere in un altro mondo! Battuta scontata, ma è proprio così. La gran quantità di polvere alzata dalla tempesta di ieri arrossa ancora il paesaggio in modo impressionante. In poche ore la situazione è cambiata un bel po’, a partire dalla mia tenda, che è rimasta parzialmente sepolta dalla bufera e che ho dovuto liberare scavando con le mani, come un esploratore del millennio scorso. Con la foschia che pian piano si diradava ho finalmente percorso i primi 30 km di salita, ma devo registrare una botta al morale: tra le continue sbandate causate dal fondo cedevole e il respiratore che mi procura un gran fastidio, tutto sembra più difficile delle simulazioni fatte sulla Terra. Mi auguro sia solo questione di abitudine… Nuova Italia è ancora a poche ore di viaggio e più volte cuore e muscoli hanno fatto a pugni con le argomentazioni della ragione, che consigliava di girare il manubrio e tornare verso un approdo sicuro.
Oggi, prima di iniziare a pedalare, ho pensato bene di annusare l’atmosfera marziana! Beh, insomma, per un attimo ho tolto il respiratore e… naturalmente ho rischiato di soffocare! La quantità di ossigeno su Marte è lo zero virgola qualcosa della già di per sé rarefatta atmosfera, e la bassissima pressione a livello del suolo, nemmeno un centesimo di quella per noi abituale, non facilita certo la respirazione, anzi provoca un brusco svuotamento dei polmoni. M’è sembrato però di intuire un vago odore di polvere, ma forse era solo l’anidride carbonica, presente nella percentuale del 95%! Mi sono potuto permettere questo colpo di testa in quanto nell’emisfero in cui mi trovo, quello sud, è piena estate e la temperatura in quel momento era relativamente mite, cinque gradi sotto lo zero. Un’iniziativa del genere durante una notte invernale, con temperature che “viaggiano” agevolmente verso i -100, avrebbe comportato la morte in pochi secondi!
Nel frattempo continua l’ascesa alla Grande Barriera, con una salita dalla pendenza sorprendentemente costante e difficile per il fondo scivoloso. A evitare l’assuefazione al paesaggio ci pensano i profondissimi orridi che si aprono improvvisamente a bordo strada: certo, nulla a che fare con il canyon della Valles Marineris, uno sfregio profondo 5 chilometri che attraversa il pianeta all’altezza dell’equatore e che sulla Terra unirebbe il nord Europa a Città del Capo, ma sono comunque di baratri che mettono paura. Ogni tanto ci butto qualche pietra e mi diverto a seguirne la caduta quasi al rallentatore… la forza di gravità, che qui è circa un terzo di quella terrestre, gioca davvero degli strani scherzi!
Stamani, con le mappe che mi confermavano il prossimo scollinamento della Grande Barriera, ho assistito alla mia ottava alba marziana, quella che più da vicino ha ricordato il mio pianeta natale per il cielo blu, almeno all’orizzonte, e per i tenui filamenti di nuvole che solcavano il cielo. Proprio così, anche nel cielo marziano talvolta si formano delle nubi. Si tratta di veli di sottilissimi cirri, che non sono in grado di dare origine a precipitazioni. Confortante è la… puntualità con la quale la luce è giunta a svegliarmi, dato che su Marte i ritmi scanditi assomigliano molto a quelli terrestri! La durata del giorno marziano, infatti, è di 24 ore e 37 minuti, molto vicina a quella per noi consueta. È più che evidente invece la maggiore distanza dal Sole, che comporta anche una durata delle stagioni doppia rispetto a quelle terrestri. Da qui, pur restando impossibile fissarlo senza rimanerne abbagliati, le ridotte dimensioni della nostra stella sono apprezzabili anche a occhio nudo.
Ma sul “Pianeta Rosso” il sole è nemico della vita: non esistendo un’atmosfera sufficientemente densa, una grande quantità di radiazioni inonda la superficie con tutte le sue nefaste conseguenze. Se non fossi protetto dalla mia specialissima tuta mi sarei già trasformato in una sorta di pannocchia abbrustolita!
Ci mancava pure questa! Questo pomeriggio, a poche centinaia di metri da me, è caduto un grosso meteorite! Devo dire che l’eventualità mi era stata prospettata perché Marte è pericolosamente vicino alla fascia degli asteroidi, oltre la quale si trova Giove. Sulla Terra la densa atmosfera disintegra per attrito (più precisamente: per pressione dinamica) gran parte dei corpi rocciosi catturati dal campo gravitazionale. Sul Pianeta Rosso, invece, solo i più piccoli vengono intaccati, mentre gli altri giungono sulla superficie quasi intatti… non è stato piacevole vedere quel masso troppo cresciuto cadere e frantumarsi così vicino a me! Così come non è stato piacevole essere investito da una nuvola di polvere e frammenti di roccia che schizzavano un po’ dappertutto. Fortuna che il rumore non è stato un gran che: ho ringraziato, una volta tanto, il fatto che l’atmosfera sia così rarefatta perché sulla Terra lo spostamento d’aria mi avrebbe dato un bel po’ di problemi … tutto sommato è andata bene, non c’è che dire!
Registro con piacere un aspetto positivo: più salgo, più il fondo si fa compatto e la pedalata spedita. Mentre sulle zone a bassa quota esistono modeste quantità di ghiaccio che in estate riescono almeno in parte a fondere e inumidire il terreno, più in alto l’atmosfera è talmente rarefatta da risultare quasi inesistente.
Dettaglio non da poco, ho varcato il bordo della Grande Barriera! Dopo aver superato il piedistallo su cui poggia la montagna, ho pedalato per qualche chilometro in discesa, ma domani inizia la scalata vera e propria!
Mi sono accampato in prossimità del cambio di pendenza, in una posizione che in teoria dovrebbe darmi la possibilità di vedere la sommità del vulcano; ma l’estensione del complesso montuoso è tale che la curvatura del pianeta non permette di apprezzarla nella sua interezza. Ciò che vedo davanti a me è semplicemente un pendio in costante ascesa; la meta, in altre parole, sarà visibile solo negli ultimi chilometri. Salirò quindi senza un preciso riferimento, e forse è meglio così. L’importante sarà non perdere di vista il sentiero, che da qui in poi si ridurrà a una mulattiera tracciata dalle poche missioni giunte fin quassù.
Che salitaccia oggi, di certo il tratto più impegnativo incontrato finora! Sette ore per percorrere trenta chilometri potrebbero sembrare tantissime, ma di più non posso e soprattutto non voglio dare. Non è nella mia natura gestire così prudentemente le forze, ma in questo caso non si tratta di puro divertimento, qui un “fuori giri” potrebbe mettere fine anticipatamente alla mia avventura. Trenta o quaranta chilometri di salita al giorno su un pianeta che non mi è per niente famigliare, agghindato di strumenti e aggeggi vari, in condizioni ambientali del tutto anomale, cercando di non perdere di vista una mulattiera che corre a zig-zag tra le rocce… beh, non è proprio uno scherzo! Basterebbe una richiesta di aiuto e in breve una squadra di soccorso sarebbe qui, ma da che mondo è mondo il ciclista tiene duro fino al traguardo, anche se in questo caso esso è posto a venticinquemila metri di quota!
Questa sera, comunque, un’occhiata agli strumenti mi ha confermato che sto rispettando alla perfezione la tabella di marcia prefissata. In otto giorni di viaggio ho percorso 230 chilometri, e ciò significa che ne mancano 95 alla cima del vulcano. Il piccolo sensore medico che porto con me segnala che i miei “parametri vitali” (così li chiama lui) sono alterati, segno che il mio organismo è stanco e stressato… ma questi gigngilli non sanno quanto contino la passione e la voglia di farcela!
Man mano che guadagno altitudine sono sempre più evidenti le tracce dell’attività vulcanica che, milioni di anni fa ha dato vita al Monte Olimpo. Prima di partire per questa avventura mi sono documentato bene sulla montagna che puntavo a conquistare, aspetti geologici compresi. Così ho imparato che questo bestione è un vulcano a scudo, formato da lava molto fluida in grado di scorrere per decine di chilometri prima di solidificare, e che ci vollero migliaia di cicli effusivi prima che esso divenisse il più grande del Sistema Solare. Anche per questo è difficile attribuire un’età al complesso montuoso; è certo, comunque, che le prime eruzioni risalgano a oltre 200 milioni di anni fa. Ricordo di aver letto che, grazie alla ridotta gravità, la lava deve avere prodotto delle fontane infuocate di terribile bellezza: chissà se qualche civiltà aliena si sia potuta godere un simile spettacolo! In seguito il “punto caldo” da cui era risalita la lava si raffreddò gradualmente e il vulcano assunse l’aspetto attuale. La cosa più sorprendente è che la mancanza di fenomeni meteorologici garantisce una quasi totale cristallizzazione della superficie. Detto in altre parole, impatti meteorici a parte, il paesaggio di fronte a me è più o meno quello che avrebbe visto un visitatore sbarcato cento milioni di anni fa!
Oggi la paura mi è passata proprio sopra la testa! Detta così, la cosa appare inquietante.. in parole più semplici ho potuto assistere al transito di Phobos, il maggiore e il più interno dei due satelliti naturali di Marte, che orbita a meno di 6000 km dalla superficie. In realtà non si tratta di un avvenimento inconsueto, dato che Phobos si muove così rapidamente nel cielo marziano da attraversarlo mediamente due volte al giorno; il problema è che di solito sono impegnato a pedalare! Devo dire che è stato affascinante osservare questo “sasso” di 27 km di diametro (le dimensioni apparenti raggiungono quasi la metà della Luna), correre tanto velocemente nel cielo.
Ma c’è un dettaglio più importante da registrare: ho raggiunto e superato quota ventimila metri, dieci volte quella dei valichi alpini e pirenaici che hanno fatto la storia del ciclismo! Da far morire di invidia i miei compagni di pedalate!
Ecco, inevitabili, i primi segni di impazienza! Sono ormai molto vicino alla meta ma la stanchezza, soprattutto quella mentale, comincia a tagliarmi le gambe. Pedalo nervosamente, sbuffo, mi alzo sulla sella e mi allungo il più possibile, cercando di scorgere finalmente l’obbiettivo finale, il bordo del cratere che segnerà il traguardo.
Oggi, nonostante gli strumenti segnassero ancora diversi chilometri da percorrere, ho sperato in qualche errore di rilevazione e più volte m’è sembrato che la meta potesse trovarsi dietro quel masso o in cima a quell’altro dosso. A un certo punto, convinto di essere sul punto di scollinare, ho messo il grosso rapporto e ho percorso un tratto a gran ritmo, mi sembrava d’essere il Pantani dei tempi migliori! Se cinquecento anni non sono riusciti a offuscare il mito del Pirata, due chilometri fatti a quel ritmo sono bastati per ritrovarmi bollito, come si dice in gergo: a quel punto ho preferito fermarmi e montare la tenda.
Con le luci radenti del tramonto ho notato un particolare curioso: mi sono accampato proprio nel bel mezzo di un cratere di qualche centinaio di metri di diametro, uno dei quasi 50 mila crateri che costellano la superficie del pianeta. Mi viene da dire che dove cade un meteorite difficilmente ne arriva un secondo… speriamo bene! E domani dovrebbe essere il grande giorno.
E’ difficile descrivere ciò che ho provato oggi nel giungere in cima al Monte Olimpo: ho scalato il più grande vulcano del Sistema Solare! E’ come un record che sembrava imbattibile e che cade dopo decine di tentativi falliti, una vittoria inattesa in una grande tappa di montagna, un traguardo tagliato prima degli altri in un campionato del mondo su cui nessuno avrebbe scommesso un centesimo. Gioia, orgoglio, consapevolezza di aver compiuto, primo al mondo, un’impresa non da poco si sono sfogate in un urlo folle, con la bici sollevata verso il cielo… ma chi poteva sentirmi quassù, a venticinquemila metri di quota? Urlo, in ogni caso, che non è andato molto più in là del mio respiratore, dato il vuoto quasi assoluto che mi circonda!
Da qui Marte è ancora più strano: il cielo è quasi completamente nero per la scarsissima diffusione della luce solare e anche durante il giorno molte stelle rimangono visibili. Sul terreno, nelle zone in ombra, tutto è coperto da uno spesso strano di brina; immagino si tratti di anidride carbonica ghiacciata, accumulatasi nel corso di tempi lunghissimi, molecola su molecola. E che dire del pauroso strapiombo che mi separa dalla caldera centrale? Praticamente mi sono trovato affacciato su un cornicione alto tre chilometri che domina una voragine immensa, 85 chilometri di lunghezza e 60 di larghezza. Per questo non posso dire di essere esattamente “in cima”… perché una vera e propria cima non esiste. Sono sull’orlo di una grande caldera, dentro la quale spiccano tre distinti coni vulcanici… che lascio inesplorati per qualche futuro e ancor più intrepido esploratore.
Curiosità: oggi è il giorno del mio cinquantesimo compleanno! E così’, dopo aver piazzato la tenda quasi sull’orlo del vulcano, ho festeggiato con una doppia razione di pillole supernutrienti: sarà stata la stanchezza, ma mi sono sembrate più gustose di una torta di compleanno!
Tre ore fa sono rientrato a Nuova Italia. Una bella doccia calda e un pasto decente sono state tra le prime cose che ho chiesto, ma subito dopo ho prenotato il viaggio su Saturno!
Il ritorno è stato decisamente più facile, considerato che gran parte del percorso era in discesa, anche se la scarsa accelerazione di gravità e il fondo irregolare non mi hanno permesso di raggiungere chissà quali velocità. Mettersi in posizione aerodinamica, poi, non serve a gran che dato che l’aria da “tagliare” è pochissima!
Questi pochi ma intensi giorni su Marte mi hanno cambiato non poco. Certo non potrò esplorare i giganti del Sistema Solare in bici, considerato che si tratta di semplici palloni di gas senza una superficie solida su cui poggiare le ruote, ma credo proprio che d’ora in poi i progetti di altri viaggi spaziali occuperanno spesso i miei pensieri.
Questa, dunque, è solo l’inizio dell’avventura!