Grazie, Paolo, però…
Mi riesce difficile scrivere di un ciclista che non sia Marco Pantani. Il ciclismo non è più lo stesso senza di lui, per me e per molti altri.
Eppure Paolino Bettini è riuscito nell’impresa di smuovermi (e commuovermi) con una prestazione entusiasmante, spezzando almeno per un attimo la catena che mi lega a quel maledetto 14 febbraio 2004. Perché prima di riprendersi alla grande il Mondiale il campione aveva vissuto, sia pur per poche ore, la tragedia che ha torturato per anni il Pirata.
Insinuazioni, passaparola e notizie diffuse ad arte hanno riempito le cronache dei giornali nella settimana che ha preceduto il Campionato del mondo di ciclismo 2007.
Come sempre accade, sciacalli che di ciclismo nulla sanno si stavano già adoperando per costruire un caso su cui speculare il più possibile. Le conseguenze del “lavoro” di questi personaggi sarebbero state pesanti: si trattava di gettare nel fango la carriera di un grande campione, forse anche la vita di un uomo.
Come è capitato a Marco Pantani.
Tutto è nato dalle presunte dichiarazioni di un ex compagno di squadra di Bettini, che lo indicavano come colui che era stato in grado di procurare, per sé e per gli altri, un prodotto dopante. Fortuna che questa volta la smentita è arrivata prontamente, ancor prima del via alla corsa in linea più importante dell’anno e ancora prima che la macchina di una certa propaganda, poi impossibile da fermare, si potesse mettere in moto.
In più, Bettini ha dovuto subire una valanga di critiche per non aver aderito ad una sorta di “protocollo etico” ideato dai dirigenti dell’Unione Ciclistica Internazionale e con il quale era in disaccordo non tanto nella sostanza, quanto nella forma.
Posso immaginare quali e quanti pensieri abbiano percorso la mente di Paolo Bettini in quei pochi giorni. Da campione osannato a vile spacciatore di doping, il suo nome maltrattato sui giornali ed in televisione, facili sarcasmi, vittorie ottenute con anni di sacrificio gettate nella polvere e ridotte a frutto di un composto chimico.
Il suo merito è stato quello di mantenere i nervi saldi, di ricorrere prontamente agli avvocati, di metabolizzare in cattiveria agonistica l’onda di stupore che si sarebbe presto trasformato in sdegno e che avrebbe potuto travolgerlo. Il Paolino dei Mondiali 2007 non era, infatti, al massimo della forma. Era probabilmente al pari con un’altra manciata di atleti che stavano girando con lui sul circuito di Stoccarda. Quello che agli altri è mancato è stata proprio quella rabbia covata da giorni, esplosa in una volata di potenza terrificante e di tempismo da applausi. E poi le lacrime, umanissime, sfogo contro chi lo avrebbe sacrificato senza rimorsi con il movente della lotta al doping.
C’è solo un piccolo appunto che avrei fatto a Paolo, se mai avessi potuto parlargli in quel momento. Lo avrei pregato di annunciare, forte e chiaro, che quella vittoria andava dedicata a chi il sistema, invece, aveva macinato senza pietà.
Gli avrei chiesto una dedica speciale a Marco Pantani.
Ci ho sperato per qualche minuto, lì, immobile dinnanzi al televisore. Ho atteso quella che per me sarebbe stata l’apoteosi di una giornata esaltante, che solo un fuoriclasse duro e puro come lui poteva regalarci.
Ho sperato che in quei giorni, durissimi per sua stessa ammissione, avesse provato ad immaginare che cosa poteva significare subire una tale pressione per anni, senza respiro.
Perché è quello che ha vissuto Marco Pantani.
Sei stato grandioso, Paolo. Come ha detto il mitico Gianni Bugno, hai due palle così e l’invidia e l’ammirazione di tutti noi. Ma saresti stato immenso se avessi dedicato la tua vittoria a chi è stato trascinato, suo malgrado, nell’infamia del doping.
“Sono stato umiliato per nulla”, le parole del Pirata, durante la premiazione, risuonavano dentro di me più forti che mai.
Peccato che in quell’occasione nessuno le abbia urlate in faccia agli sciacalli.
Sarebbe stato un giorno perfetto.