Il Butterloch
Un salto nel passato del Trentino Alto Adige
L’incisione prodotta dal rio delle Foglie nelle rocce dell’altopiano di Aldino-Pietralba (Regglberg) ai piedi del Corno Bianco (provincia di Bolzano) ha dato vita a uno spettacolare canyon nel quale sono tornate alla luce importantissime testimonianze geologiche e paleontologiche. Il sito ha origini molto recenti, in quanto si è formato dopo la fine dell’ultima glaciazione, 18-15 mila anni fa. Nonostante possa sembrare un intervallo di tempo enorme, chi ha dimestichezza con la scala dei tempi geologici sa che non si tratta nient’altro che di un battito di ciglia nella storia del pianeta Terra.
Circa 18.000 anni fa l’enorme quantità di ghiaccio e neve accumulatasi nel corso dell’ultima era glaciale (Würmiano) iniziò a sciogliersi. I fiumi e i torrenti che ne scaturirono poterono esprimere con una tale potenza la propria azione erosiva da incidere pesantemente il territorio alpino, trasportando i detriti strappati alle montagne per decine, centinaia di chilometri, fino a colmare l’antico fondale marino che oggi chiamiamo Pianura Padana.
Uno dei tanti rii originatosi dal disgelo dei ghiacci würmiani fu proprio il Bletterbach, che in poche migliaia di anni ha aperto una delle più spettacolari “finestre temporali” d’Europa. Risalendo il suo percorso si visitano infatti alcune delle più importanti tappe della storia geologica altoatesina.
Il fondo del canyon è accessibile superando qualche piccola difficoltà che consiste nel discendere i ripidi versanti che lo separano dall’altopiano con alcuni tratti poco agevoli, ma comunque non particolarmente difficili.
La prudenza è d’obbligo sempre, ancor di più in caso abbia piovuto, perché alcuni passaggi possono risultare scivolosi, ma tutto sommato si tratta di una gita affrontabile da (quasi) tutti. L’escursione si può iniziare dal Centro Visitatori poco oltre il paese di Aldino (giro completo: 4,6 km) o dal Museo Geologico di Redagno (6,8 km), posto sull’altro versante della forra. In entrambi i punti di partenza si potranno ricevere dettagliate informazioni riguardo agli ambienti che si andranno a visitare. L’ingresso al parcheggio e al museo (comprendente il noleggio di un casco da rocciatore per la visita al canyon) è a pagamento; in alternativa si può lasciare l’auto nelle vicinanze.
Che si decida per l’uno o l’altro punto di partenza, l’obiettivo sarà comunque lo stretto canalone che si prospetterà presto in tutta la sua spettacolarità molte decine di metri più in basso; raggiunto in una ventina di minuti il fondo (nella zona chiamata “Taubenleck”), inizia il viaggio nel tempo.
Ci troviamo circondati da potenti fiancate di porfido risalenti a quasi 300 milioni di anni fa, ovvero al periodo Permiano, molto prima dell’avvento dei dinosauri. Quando questi imponenti coltri di materiale vulcanico si depositarono non esisteva nulla della nostra regione: né boschi, né monti, né valli.
Il Trentino Alto Adige, così come parte dell’area centro-europea, era un’area semidesertica sconvolta da violentissime eruzioni. Non si trattava di grandi apparati vulcanici: il materiale lavico fuoriusciva prevalentemente da fenditure nella crosta terrestre sotto forma di cenere incandescente e gas che davano luogo al fenomeno delle “nubi ardenti”, in grado di spostarsi a centinaia di chilometri orari fagocitando tutto ciò che incontravano sul loro cammino. Le grandi fiancate rocciose che vediamo si formarono proprio grazie a ripetuti episodi di questo tipo. Perché si potesse depositare un tale spessore di materiale, che in alcune zone raggiunse la potenza di oltre duemila metri, dovettero succedersi innumerevoli eventi, intervallati da pause che potevano durare secoli o millenni, durante le quali piante e animali tentavano faticosamente di riguadagnare terreno. Trascorsero in questo modo circa venti milioni di anni. Rare, ma di inestimabile valore paleontologico, sono le tracce di vita di questo periodo, più che altro impronte lasciate da rettili come il Pachypes Dolomiticus.
Si prosegue in leggera salita (con alcuni “sbalzi”) lungo il greto del Bletterbach; ogni passo compiuto è un avanzamento nel tempo. Cento, mille, diecimila anni… si prova una strana sensazione nel padroneggiare intervalli di tempo così grandi. Il tetto delle pareti di roccia si trova circa 20 metri più sopra; il colore rossiccio della roccia è dovuto all’ossidazione dei minerali ferrosi. Dopo poche centinaia di metri percorse tra le strette fiancate porfiriche la valle si allarga e, superata una cascatella, si entra in un ambiente diverso. Qui la roccia predominante non è più il porfido, ma il prodotto della sua erosione e della successiva deposizione per opera del vento e dell’acqua, l’Arenaria della Val Gardena. Ci troviamo dunque in corrispondenza di rocce appartenenti a un periodo successivo, in cui le eruzioni erano ormai terminate e l’ambiente era costituito da un’arida pianura. Il mare non era lontano, ma il sole implacabile disseccava rapidamente gli specchi d’acqua rimasti isolati, pietrificandone il fondo. Non mancavano corsi d’acqua, probabilmente a carattere stagionale, che hanno lasciato tracce delle loro ondate di piena nelle caratteristiche increspature della sabbia giunte ai nostri giorni in forma fossile. Non è difficile osservare in questo luogo rocce composte da sabbia e detriti cementati, tutti orientati nel senso della corrente. Nelle Arenarie di Val Gardena è possibile ritrovare anche le tracce di una certa attività biologica: abbozzi di tane, scie, piccoli organismi e conchiglie fossili di foglie, rami, tronchi, radici, spore oltre che una serie di impronte di rettili di grossa stazza danno l’idea di un territorio non del tutto inospitale.
Superata ormai la parte bassa della gola del Bletterbach si prosegue nell’incisione torrentizia ora molto più larga, tra pareti che nella loro parte superiore sono composte da una formazione rocciosa che annuncia un ulteriore salto nel tempo. Siamo alla fine dell’era paleozoica, circa 250 milioni di anni fa, quando il mare inizia a penetrare con maggior decisione nel territorio altoatesino. Si forma un ambiente di bassi fondali, punteggiato da lagune che nei periodi più caldi lasciavano spazio a spettacolari distese di gesso e salgemma, oggi evidenziate nelle venature biancastre delle pareti attorno al canyon. Il protagonista ora è il Bellerophon, un gasteropode diffusosi a tal punto da dare il proprio nome anche alle rocce del periodo, la formazione a Bellerophon, appunto. Non era certo l’unico organismo che aveva trovato dimora in quelle acque calde e stagnanti: pesci, granchi, coralli, spugne e ricci di mare preistorici popolavano il fondo, incrementando dopo la loro morte le maestose bancate calcaree che vediamo. Siamo entrati nell’area denominata “Gorz”.
Proseguendo, ecco i segni di una nuova era, quella mesozoica, che si apre con il periodo Triassico. Il colore della roccia si fa diverso, tingendosi di varie sfumature. Si tratta della Formazione di Werfen, depositatasi tra 245 e 235 milioni di anni fa. E’ il chiaro indizio che il mare prende piede, si fa più profondo, sostituendo il precedente ambiente lagunare. Cambiano di conseguenza anche gli animali che lo abitano e che appartengono a un contesto prettamente marino. Un lamellibranco, Claraia, si diffonde a tal punto da divenire “fossile guida” per i paleontologi.
Così, mentre in altre zone del pianeta i progenitori dei dinosauri diventano i padroni assoluti, l’Alto Adige è una specie di paradiso tropicale fatto di mare e atolli corallini degni di un dépliant pubblicitario.
Siamo prossimi alla successiva tappa del nostro viaggio nel tempo; si prospetta dinnanzi a noi l’era dei grandi rettili, i dinosauri. La strada, però, è sbarrata da un salto roccioso di qualche decina di metri, in corrispondenza di una grande cascata, dove osserviamo un antichissimo condotto vulcanico che 230 milioni di anni fa venne a sconvolgere la tranquillità del fondale marino. Grandi eruzioni vulcaniche con fulcro nella Val di Fassa interessarono la zona, ma durarono “solamente” poche migliaia di anni. Siamo nella zona chiamata “Butterloch” o “buco nel burro”.
Un tempo si poteva procedere superando la cascata grazie ad una scala metallica, che però in seguito a una frana alcuni anni fa (2015) è stata rimossa; ora si aggira l’ostacolo passando a destra e continuando a salire grazie a un sentiero. Non è impegno da poco; consiglio quindi ai meno allenati o a chi porta con sé bambini di mettere in conto una mezza giornata di cammino, comprendente le soste e l’eventuale pasto o ristoro in una delle vicine malghe.
Tornati sul greto del torrente il cammino si fa più agevole, tra resti di enormi bancate di corallo, spugne e alghe calcaree che 220 milioni di anni fa prosperavano nel nostro territorio. I blocchi biancastri che vediamo sparsi ovunque sono costituiti di una roccia chiamata Dolomia del Serla (o Formazione del Contrin). Le frequenti tracce che rinveniamo su di essa appartengono a una particolare varietà di alga, chiamata Diplopora, che a questi tempi costituiva vere e proprie praterie sottomarine. Il guscio calcareo di cui era provvista ha favorito, nel corso di un tempo lunghissimo, l’accumulo di uno spessore di enorme potenza. Della Dolomia del Serla, infatti, è composta anche la cima del Corno Bianco, ottocento metri più in alto!
Chiudendo un giro ad anello possiamo ora rientrare grazie ad un sentiero abbastanza impegnativo che si riallaccia alla forestale che conduce al parcheggio del Centro Visitatori.
Spunti e approfondimenti: Helmut Moser – Bletterbach a Aldino-Aldein (Athesia, 1997)
Volkmar Stingl, Volkmar Mair – Introduzione alla geologia dell’Alto Adige (Provincia Autonoma di Bolzano, 2005)
Volkmar Stingl, Michael Wachtler – Dolomiti la genesi di un paesaggio (Athesia, 1998)
Alfonso Bosellini – Geologia delle Dolomiti (Athesia, 1996)
Sto scrivendo un libro sulla storia paleontologica italiana…potrei usare due delle foto presenti nell’articolo per il mio libro?
RISPOSTA DELL’AUTORE: Certo, Aldo!
Bonatti, da un paio d’anni vivo ad Antermoia ai piedi del monte Putia e del passo delle Erbe. Come naturale mi sono incuriosito osservando le formazioni rocciose e ho scoperto che proprio sopra la mia casa c’è una interessante rappresentazione degli strati delle formazioni di Bellerophon e di Werfen. Poco più su, c’è una stretta gola dove le rocce scure presentano delle chiazze o striature gialle come zolfo, che non ho trovato in alcuna delle foto in Internet. Può spiegarmi di che si tratta?
RISPOSTA DELL’AUTORE: Buongiorno Carlo, difficile fornire un parere basandosi su una descrizione così sommaria. Ci vorrebbe un esperto che si rechi sul posto. In ogni caso le posso dire che alcuni membri della formazione di Werfen presentano una colorazione giallastra.