Il clima cambia. Da sempre!

Una volta tanto l’uomo non ha tutte le colpe…

PREMESSA
Fino a che vengono presi fischi per fiaschi quando si tratta di gossip, m’importa meno di zero; fino a che si invocano fuorigioco e rigori nei programmi TV sul calcio ci si può anche fare una risata; ma la disinformazione scientifica che viene fatta in Italia attraverso i media è qualcosa di vergognoso. Qualcuno potrà affermare, a ragione, che il mio parere non è tra quelli autorevoli. Il mio pensiero trova però conforto nelle parole di esperti che da tempo vanno ribadendo concetti semplicissimi, ma da molti volutamente inascoltati. Parlo riferendomi in particolare a ciò che mi sta a cuore, l’attuale disputa tra “serristi” (ovvero tra coloro che addossano gran parte dell’attuale, innegabile variazione climatica alle -innegabili anch’esse- malefatte dell’uomo), e chi invece ci vede come semplici spettatori di un meccanismo troppo grande per essere disturbato.
Ebbene, la disinformazione consiste nello schierarsi apertamente dalla parte dei “serristi” (dal nome dell’ormai super-inflazionato “effetto serra”), nell’assorbire e amplificare le loro tesi, spesso senza cognizione di causa, trovando così il modo più semplice per lanciarsi in proclami e sparate sensazionalistiche che tanto vanno di moda al giorno d’oggi.
Ecco dunque che un semplice temporale a Milano dovrebbe far scattare l’allarme per mezzo mondo, e giù con le sparate senza senso citando a casaccio il Niño, l’effetto serra e la Corrente del Golfo. Se poi l’estate è più calda del normale, un servizio ci proietta direttamente in un prossimo futuro (ma quando arriva? Sono anni e anni che ne parlano!), con la Pianura Padana ridotta a un deserto devastato da stormi di cavallette e le Alpi coltivate a olive e fichi d’India.
Ritengo molto grave il fatto che a questa escalation di falsi scientifici partecipino anche personaggi che dovrebbero essere al di sopra di ogni sospetto: si può capire un giornalista alla ricerca dello scoop, che mette insieme alla meglio qualche luogo comune e qualche detto popolare raccolto qua e là; si può ancora tollerare che qualche ufficiale dell’Aeronautica si faccia “incastrare” dalle impertinenti domande di un’avvenente intervistatrice e si sbilanci oltre il dovuto; è scandaloso invece che presunti esperti di climatologia cerchino di spararle più grosse possibile, per pura mania di protagonismo. Troppi sono i casi di “studiosi” di un più o meno noti centri di ricerche italiani che si sbilanciano in fantozziani vaticini validi un intero semestre; chiunque si intenda un minimo di cumuli e isobare sa a memoria che una previsione seria può dirci che tempo farà nei prossimi cinque-sei giorni al massimo e che per il periodo successivo, più o meno una quindicina di giorni, si può esprimere una tendenza, che talvolta lascia, è proprio il caso di dirlo, il tempo che trova.
Tanto per fare un esempio, ricordo ancora le previsioni di un noto climatologo che si attendeva un’estate 2003 fresca e instabile…quanti morti per il caldo vi siano stati in Europa in agosto 2003 non sarà mai calcolato con esattezza…
Ecco dunque che prima di lasciarci travolgere da questo turbine di notizie, che vorrebbero la Terra e i suoi abitanti sull’orlo del baratro, conviene andare più a fondo della vicenda, cercando di capire se davvero il clima stia facendo le bizze come mai era accaduto in passato. Per farlo possiamo appoggiarci all’enorme mole di dati che forniti da alcune branche della ricerca, ma anche da fonti di tutt’altro genere.
SEGNALI CONTRASTANTI…
Così scopriamo che l’Ursus Spelaeus, decine di migliaia di anni fa, aveva scelto come rifugio una grotta situata ad una altitudine (2700 metri) che al giorno d’oggi apparirebbe inusitata, e che Ötzi, l’uomo del Similaun, più di 5000 anni fa si spingeva oltre i tremila metri con attrezzature e vestiario neanche lontanamente paragonabili a quelle moderne. O ancora, in tempi più recenti, la colonizzazione da parte dei vichinghi della fredda Groenlandia, a quel tempo almeno in parte libera dai ghiacci e la coltivazione della vite in Inghilterra nel Medio Evo. Davvero affascinante inoltre l’idea che le drammatiche condizioni di larga parte della popolazione, che portarono allo scoppio della Rivoluzione Francese, furono aggravate dai periodi siccitosi che sconvolsero mezza Europa negli anni precedenti il 1789.
Se vogliamo un supporto più rigoroso possiamo ricorrere alla dendrocronologia, la scienza che studia i cambiamenti climatici negli anelli di accrescimento di varie specie arboree, che ha dimostrato come periodi con temperature anche superiori a quelle attuali si siano verificati più volte nelle ultime migliaia di anni. Anche i carotaggi effettuati in varie zone del mondo, dal ghiaccio polare al fondale marini, sostengono la stessa tesi. Vi furono periodi (si parla di pochi secoli addietro) in cui i ghiacciai alpini avevano dimensioni minori di quelle attuali ed ere geologiche (qui entrano in gioco i milioni di anni fa) durante le quali, per la sinergia tra fattori geologici e astronomici, le calotte polari… semplicemente non esistevano!
Ma torniamo (quasi) ai nostri giorni: 1973, Chamonix. Da un convegno di scienziati partì un allarme per la preoccupante avanzata dei ghiacci. Un articolo pubblicato dal Messaggero sosteneva che “i ghiacciai aumentano in modo spaventoso (quelli alpini del gruppo del Monte Bianco sono avanzati in pochi anni di oltre mezzo chilometro verso la valle), la banchisa polare ha raggiunto le coste dell’Islanda, la temperatura media dell’Europa Settentrionale si è abbassata in dieci anni di due gradi centigradi. Secondo la maggior parte degli scienziati, che hanno dato vita ad un acceso dibattito, non ci sono dubbi: il continuo espandersi dei ghiacciai è principalmente dovuto all’alto tasso di inquinamento atmosferico; i fumi industriali sospesi nell’aria rappresentano infatti un serio ostacolo per le radiazioni infrarosse del Sole, e di conseguenza arrivando meno calore sulla terra, i ghiacciai prosperano. Questi inquietanti sintomi, secondo gli esperti convenuti a Chamonix, pongono decisamente sotto accusa l’inquinamento progressivo del nostro habitat, che di questo passo potrebbe deteriorarsi fino al punto da rappresentare un pericolo per la stessa sopravvivenza dell’umanità”. L’articolo si conclude con un ammonimento: “… se l’uomo non si deciderà ad affrontare, al più presto e seriamente, il problema ecologico, non è improbabile che dietro l’angolo trovi ad attenderlo una nuova era glaciale”.
Se questo grido d’allarme fu lanciato, qualche dato strumentale e quindi oggettivo doveva pur esistere. In effetti un piccolo “nodo” freddo si è verificato tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli ’80, anche se la tendenza si è poi rapidamente invertita. Ciò che però va sottolineato è che tale raffreddamento si è registrato in tempi già sospetti, quando cioè le emissioni umane potevano definirsi abbastanza consistenti da avere un influsso sull’ambiente
È dunque la prova che l’uomo sta causando un raffreddamento del clima!?
Non dobbiamo però dimenticare che tra il 1300 ed il 1850 si ebbe un periodo freddo che interessò l’Europa e che fu talmente intenso da meritarsi l’appellativo di PEG (Piccola Età Glaciale). Dal 1300 infatti il clima comincia a raffreddarsi, il ghiaccio marino si espande e le comunicazioni tra Scandinavia, Islanda e Groenlandia diventano difficili finché, alla fine del 1400, i coloni vichinghi che avevano faticosamente guadagnato terra da coltivare ai ghiacci groenlandesi devono fare ritorno sul continente europeo. Evidenze storiche e morfologiche di un’avanzata glaciale a partire dal 1300 sono state rinvenute sulle Alpi e in tutte le principali catene montuose. Sulla base di tali evidenze, l’acme della PEG viene posto nel primo ventennio del diciannovesimo secolo, anche se per qualche ghiacciaio la massima avanzata è stata raggiunta nei secoli 17° e 18°; la fine della Piccola Età Glaciale viene posta invece nella seconda metà del 1800 (1850-60). In questo periodo si ebbe il famoso “anno senza estate”, il 1816, durante il quale in Centro Europa si osservarono freddo e neve anche nel semestre caldo. Anche se le cause che portarono all’anno senza estate vanno probabilmente ricercate nelle gigantesche eruzioni vulcaniche avvenute negli anni precedenti, che avevano accumulato nell’atmosfera superiore immense quantità di polveri, possiamo veramente definire questo fenomeno probabilmente irripetibile. Ma possiamo anche affidarci alle memorie degli anziani per avere conferma che, fino a pochi decenni fa, la stagione fredda accompagnata dalle immancabili nevicate nelle nostre città dell’Italia settentrionale faceva (quasi) sempre onore al suo nome.
È dunque la prova che l’uomo sta causando un riscaldamento del clima!?
Ma, allora, qual è la verità? Si direbbe che l’unico fatto di cui possiamo essere certi è che si può affermare una cosa e il suo contrario.
Questo fa il gioco di chi ha tutto l’interesse nel rimestare nel torbido per tenere alta la tensione e conseguentemente le vendite di libri, giornali e riviste (o i contatti sui siti web).
La verità è che il clima è in continuo divenire, alla incessante ricerca di un equilibrio tra fattori astronomici, geologici e fisici, e che in passato vi sono stati periodi molto più freddi, ma altri molto più caldi.
L’errore grossolano è quello di porre sempre l’uomo al centro di ogni cosa, in perfetta sintonia con il delirio di onnipotenza tipico dei tempi moderni
È indubbio che le attività umane stiano turbando i delicati equilibri esistenti in natura: basti pensare alla continua diminuzione delle specie viventi, all’alterazione degli ambienti e, nello specifico, all’aumento di concentrazione di anidride carbonica passata in un tempo brevissimo, circa un secolo, da 270 a oltre 400 parti per milione.

C’È QUALCOSA DI PIU’ GRANDE…
L’impressione che si ha da una visione più di ampia di quella fornita da un telegiornale di mezza sera è che altri fattori abbiano un’influenza determinante e che le attività umane possano semmai amplificare o rallentare processi incontrovertibili.
Si è detto tanto anche sul fatto che i cambiamenti climatici in atto stiano seguendo una evoluzione rapidissima, mai verificatasi in Natura, e che questo è un chiaro segno dell’interferenza umana. Negli ultimi decenni, invece, sono venuti a galla i complessi meccanismi che regolano il bilancio energetico del nostro pianeta e che possono determinare “salti” improvvisi da una situazione di equilibrio ad un’altra. È ormai chiaro, per esempio, che un ruolo di primo piano venga svolto dalle grandi correnti oceaniche, che ridistribuiscono enormi quantità di calore sul globo terracqueo, e che eventi che possono apparire di poca importanza portino invece in seno potenziali mutamenti di grande portata in pochissimi anni. Si parla spesso di Corrente del Golfo e di un suo possibile blocco in un immediato futuro. Se ciò corrispondesse a verità, le coste nordeuropee piomberebbero in poco tempo (si parla di decenni o forse solo qualche anno) in un clima di tipo canadese, con lunghi e gelidi inverni ed estati brevi e molto calde.
Vacilla dunque anche il mito forgiato da media ignoranti di un clima inerte, per nulla incline ai mutamenti, soprattutto nel breve periodo. Vacilla ma non cade, purtroppo, a causa di una informazione disgraziata. In questo c’è, dopotutto, tanta della nostra umanità: siamo sempre alla ricerca di certezze e di punti fissi su cui fare affidamento. Il clima sembrava esserlo: non è così, purtroppo e per fortuna.
Una semplice dimostrazione? Riduciamo il nostro campo di osservazione, sia nel tempo che nello spazio. Limitiamoci al secolo appena trascorso ed al nostro territorio: si dice che l’effetto serra ed il conseguente aumento di temperatura abbiano aumentano effetti e frequenza di eventi estremi quali nubifragi e trombe d’aria anche nel nostro Paese. Nessuno potrà mai dire che ciò corrisponde a verità assoluta, se non dopo un preciso censimento degli eventi catastrofici in tempi passati. Questo, ovviamente, si potrà fare solamente dopo l’invenzione della macchina del tempo… oggi, invece, nell’era di Internet, dei satelliti artificiali e della globalizzazione, anche un semplice temporale nel più remoto angolo del mondo non passa inosservato. Ciò può dare l’impressione, errata, che tali fenomeni stiano crescendo di numero.
Di seguito un breve elenco di alcuni eventi estremi in Italia nella prima parte del ‘900, che possiamo ancora considerare tempi non sospetti.
Luglio 1910: tromba d’aria su Prealpi lombarde e Brianza con 60 vittime.
Agosto 1928: tromba d’aria a Monza con 10 morti.
Luglio 1930: tornado violentissimo colpisce la zona compresa tra Treviso e Udine. Il fenomeno è stato descritto in un libro dal celebre geologo Ardito Desio. 23 morti.
Novembre 1951: alluvione del Polesine.
Giugno 1957: colpito l’Oltrepò Pavese con due paesi distrutti.
Luglio 1965: tornado tra Piacenza e Parma con nove morti.
Novembre 1966: alluvione a Firenze.
Novembre 1968: alluvione in Valle Strona, Biellese, Piemonte. Si contano 74 morti.

CONCLUSIONI
L’uomo, nonostante il delirio di onnipotenza, non può ancora ritenersi unico gestore della macchina climatica terrestre. Di questo passo, però, non è escluso che un giorno si possa giungere anche a questo.

AGGIORNAMENTO:
Nel 2019 uno studio condotto da Raphael Neukom e colleghi dell’Università di Berna e pubblicato su Nature (https://www.nature.com/articles/s41586-019-1401-2.epdf) intitolato “No evidence for globally coherent warm and cold periods over the preindustrial Common Era” ha portato un nuovo e interessante contributo: sembra che i cambiamenti del clima di questi ultimi decenni si distinguano dai precedenti per intensità ed estensione geografica. Questo potrebbe essere il segno distintivo del moderno global warming!

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