Il clima degli ultimi 20.000 anni

L’analisi del Tardoglaciale e del Postglaciale forniscono importanti indicazioni sulla variabilità del clima.
In questi ultimi anni la questione del riscaldamento globale, il famoso GW (Global Warming) o AGW (Antropic Global Warming, per indicare la presunta influenza umana sul clima) tiene banco nella comunità scientifica internazionale. Non c’è giorno in cui non si lanci un allarme per le banchise che si sciolgono, le temperature globali sempre più alte, i ghiacciai che arretrano e la desertificazione che avanza.
È difficile dare una risposta definitiva ai dubbi sul cambiamento climatico di questo inizio di secolo, anche perché le opinioni degli esperti del settore non sono tutte allineate. Va detto comunque che una gran parte ritiene che il pianeta Terra sia destinato ad un rapido quanto catastrofico riscaldamento, e in effetti è assodato che da qualche decennio la temperatura media del globo stia aumentando.

Il riscaldamento planetario degli ultimi decenni è una realtà, questo lo sappiamo…
Fonte immagine: https://www.nasa.gov/topics/earth/features/2012-temps.html

Ciò che però va detto con forza è che le fosche previsioni di sedicenti esperti di clima, giornalisti ed opinionisti di vario genere partono da un presupposto profondamente errato, in virtù del quale il clima viene visto come un’entità ferma ed immutabile. In sostanza, associare l’arretramento di un ghiacciaio ad un imminente disastro naturale è una balla colossale. Perché i ghiacciai, così come il clima in generale, sono da sempre in evoluzione, e continueranno ad esserlo a dispetto di chi ritiene che nulla debba muoversi di un solo millimetro. La brevità della vita umana e l’eccessiva selettività della nostra memoria, che tende a isolare e mitizzare singoli eventi, sono i fattori che non ci permettono di avere una visione obbiettiva della realtà.
Il fatto che il clima presentasse una variabilità sul lungo periodo è noto tra gli esperti già da tempo; tra 2,5 milioni e 10.000 mila anni fa (periodo chiamato Pleistocene), per esempio, si sa che sulla Terra si sono alternati periodi di freddo e glaciazioni, più o meno della durata di 100.000 anni, a periodi di caldo più brevi, non più di 10-15.000 anni, anche più intenso di quello che stiamo sperimentando. Si afferma però che l’anomalia dell’AGW stia nel fatto che l’impennata verso il caldo di questi ultimi decenni si sta verificando con una rapidità mai osservata nella storia terrestre. Ma ciò che sta scaturendo dagli ultimi studi mette in discussione tale ipotesi. Basta prendere in esame le ricerche riguardanti gli avvenimenti climatici avvenuti in due periodi: il TARDOGLACIALE ed il POSTGLACIALE.
Il Tardoglaciale è il periodo di tempo (tra 20 e 11 mila anni fa circa) che ha caratterizzato la fine dell’ultima glaciazione, quella del Würm. Si tratta di un momento importante della storia ambientale alpina e padana, perché durante questo periodo si è affermato il complesso degli ecosistemi che caratterizzano l’ambiente naturale così come lo conosciamo. Per averne una visione dettagliata ci si basa su una serie di “archivi” naturali: le successioni polliniche, la dendrocronologia (studio degli anelli degli alberi e dei loro contenuti in ossigeno e carbonio), l’analisi degli isotopi, dei gas e delle polveri imprigionate nelle carote di ghiaccio. Il confronto tra gli archivi dell’Europa centro-occidentale e settentrionale evidenzia una successione di eventi sostanzialmente sincroni, pur con differenze su scala regionale di temperatura e precipitazioni connesse con la circolazione atmosferica e con i forti gradienti causati dall’influenza della calotta glaciale würmiana in area scandinava, il cui spessore era misurabile addirittura in chilometri.
Ebbene, è stato constatato che in un periodo tanto breve (8500 anni sono davvero poca cosa nella storia della Terra!) in area alpina sono avvenute oscillazioni climatiche davvero importanti. Il ritiro dei ghiacciai alpini iniziò nei settori di anfiteatro, contigui alla pianura, e dei grandi laghi (da 21 a 17,5 mila anni fa), ma si verificarono nuovi avanzamenti e fasi di stasi indicati come “stadi tardoglaciali”, che hanno dato luogo ad apparati di deposizione glaciale via via più arretrati nelle valli alpine. Il glaciologo Maisch distingue nelle Alpi svizzere interne gli stadi Bühl, Steinach, Gschnitz, Clavadel, Daun, Egesen. E’ difficile collocare cronologicamente tali periodi, perché la mancanza di vegetazione legnosa rende in alcuni casi molto difficile la datazione radiocarbonica. Vi sono dunque ancora discordanze tra gli studiosi, ma dal quadro emergono dati molto interessanti: il limite della vegetazione variò più volte, anche bruscamente, seguendo repentine variazioni climatiche, salendo o scendendo di diverse centinaia di metri nell’arco di pochi secoli.
Le sorprese maggiori, però, si hanno avvicinandoci ancor più ai nostri tempi ed esaminando le ultime dieci migliaia di anni, il periodo chiamato Postglaciale; ebbene, ancora nel Preboreale, da 10.000 a 8.000 anni fa circa, le fronti glaciali erano attestate sui 1600 metri circa, che divennero poi 1900 nel Boreale e nell’Atlantico; nel Subboreale, solamente 5000 anni fa, si ebbe un nuovo raffreddamento con le fronti glaciali a 1300-1400 metri, situazione che si mantenne fino a circa 2500 anni fa, quando si passò gradualmente a un clima più caldo dell’attuale.
Per chiudere in bellezza, ora che è un po’ più chiaro l’alternarsi di fasi miti ad altre più fredde anche in tempi recenti, si può mettere a fuoco il passaggio tra il Tardoglaciale ed il Postglaciale; proprio a cavallo di essi si verifica un brusco raffreddamento, chiamato Dryas Recente (Younger Dryas), durato circa 1000 anni, che ripiombò buona parte d’Europa nel gelo. Nel sito di Totenmoos, a 1718 metri in Val d’ultimo, questo raffreddamento si esplica in una rapida scomparsa di un lariceto che lascia il posto a praterie e si ristabilisce solo dopo 1100 anni circa. Si ritiene che sul versante alpino meridionale il limite degli alberi si portò ben al di sotto dei 1000 mt; a quell’epoca distese di pini mughi coprivano quindi anche rilievi di modesta altitudine. Ma ciò che più sorprende è che la successiva transizione tra Younger Dryas e Preboreale (inizio del Postglaciale) sembra essere avvenuta in un intervallo tra 20 e 50 anni, con un salto di temperatura di 7 gradi ed un aumento della piovosità del 50%!

Andamento termico negli ultimi 12.000 anni. Zoomando sui vari periodi la curva si potrebbe scomporre in tratti più brevi, che riporterebbero ulteriori oscillazioni; il clima è una macchina in costante agitazione!

Nel 2019 uno studio condotto da Raphael Neukom e colleghi dell’Università di Berna e pubblicato su Nature (https://www.nature.com/articles/s41586-019-1401-2.epdf) intitolato “No evidence for globally coherent warm and cold periods over the preindustrial Common Era” ha portato un nuovo e interessante contributo: sembra che i cambiamenti del clima di questi ultimi decenni si distinguano dai precedenti per intensità ed estensione geografica. Questo potrebbe essere il segno distintivo del moderno global warming!

Sulla base di quanto detto mi sembra comunque di poter concludere che certe strampalate idee di un clima immutabile e di ghiacciai immobili dall’inizio dei tempi andrebbero definitivamente messe in archivio. Altro discorso è quello di attrezzarsi per il riscaldamento in atto, cosa che non sarà indolore. Ma questa è una sfida con cui la Natura e l’umanità hanno a che fare da sempre.

Spunti ed approfondimenti: Cesare RAVAZZI – Il Tardoglaciale: suddivisione stratigrafica, evoluzione sedimentaria e vegetazionale nelle Alpi e in Pianura Padana (Studi Trent. Sci. Nat., Acta Geol., 82 (2005): 17-29)
Fuganti A., Bazzoli G., Morteani G. 2001 – La genesi della Valle dell’Adige. Studi Trent. Sci. Nat., Acta Geologica.

6 Risposte

  1. Damiano Bianchi ha detto:

    Grazie. Finalmente qualcuno che fa chiarezza.

  2. Piero Panicali ha detto:

    Questi giorni dalla Statale di Milano è arrivato il risultato di studi che dicono: non il CO2 causa effetto serra e riscaldamento. La causa è da ricercarsi in fenomeni di distorsione dei raggi solari dovuti a particelle che comunque fanno parte delle emissioni di motori a combustione interna. Se ho capito, queste particelle di cui spesso si parla non solo hanno effetto oncologico ma anche un effetto fisico di spostamento dei raggi solari in traiettorie vicine e parallele al suolo con conseguente riscaldamento delle zone dell’atmosfera abitate dagli umani. E’ sostenibile quanto ho cercato di esporre?

  3. Marco Bonatti ha detto:

    Buongiorno Piero,
    mai sentita una cosa del genere. Ho provato anche a fare una ricerca in rete, ma non trovo nulla a riguardo. Detto francamente, la spiegazione dell’effetto serra quale effetto del biossido di carbonio in atmosfera mi sembra così chiara ed evidente che non penso ci sia bisogno di ulteriori teorie. Ma si sa, la scienza è un continuo progredire… vedremo…

  4. Marco Fugazzi ha detto:

    Buongiorno, i romani coltivavano la vite in gran Bretagna, Annibale passò le Alpi a dorso d’elefante, i vichinghi abitavano la Groenlandia coltivando, gli scheletri che trovano sotto i ghiacci delle Alpi, poi la piccola glaciazione 1600 1700 in montagna da noi non si coltivava più il grano ma segale come ricordava mio nonno. il tempo cambia sempre come gli pare, il cambiamento climatico è la norma!

  5. Andrea ha detto:

    Ottimo articolo e concordo, ma sfortunatamente in questi ultimi anni si sta vedendo una propaganda spietata ed unilaterale da parte di una schiera di potenti che impone a spada tratta la teoria del cambiamento climatico perpetrato dall’uomo con conseguente sua estinzione nell’arco di poco tempo (teoria della paura per controllare la massa). Spero che al piu presto sia ridato spazio e voce agli scienziati (tutti e non solo ad una esigua parte) che studiano questi eventi!!!

  6. Andrea ha detto:

    Un esempio di quanto sia vero quello che dici e il grafico che hai inserito è il ritrovamento dell’uomo di Ötzi sulle alpi trentine morto circa 4300 anni fa.

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