Il destino della nostra stella

Porsi domande sul destino del nostro Sole mentre la frenesia del quotidiano assorbe ogni nostra energia può apparire un po’ strampalato; credo invece che alleggerire per qualche momento i nostri pensieri con un tuffo in un lontanissimo futuro non possa che fare del bene allo spirito. Anche perché, come sempre accade quando si parla di scienza, tutto diviene in breve affascinante e coinvolgente…

Siamo nell’anno 6.000.000.000 d.C. Sì, proprio 6 miliardi di anni dopo la nascita di Cristo! Ci troviamo sul pianeta Terra, non importa in quale punto della superficie. Dai nostri giorni è trascorso un periodo di tempo talmente spropositato da risultare praticamente inconcepibile.
Prima di guardarci intorno è necessario liberarci da preconcetti squisitamente umani, che comprometterebbero la nostra capacità di giudizio. Per esempio: il mondo non rimane sempre uguale a se stesso. Tutto nasce, cresce e muore, anche se ogni cosa ha tempi e modi diversissimi: un uomo, un albero, una montagna, una stella, anche l’universo.
Non speriamo dunque di trovare il nostro mondo così come lo conoscevamo, né aspettiamoci riferimenti sui quali contare. Non stupiamoci di trovare un pianeta Terra irriconoscibile, una landa desolata senza il minimo segno di vita.
Potremmo farci travolgere da domande del tipo: che fine ha fatto il genere umano, quale percorso evolutivo ha seguito? Ha forse colonizzato i pianeti di altri sistemi stellari, riuscendo così a scampare alla terribile catastrofe che sembra aver sconvolto la Terra? O forse l’avvento di una nuova specie aveva già da tempo sopraffatto i nostri simili, dando vita a una nuova civiltà? O ancora, chissà quali e quante civiltà non-umane si sono succedute nel frattempo!
Non ci è dato di saperlo, e dopotutto non è questo l’aspetto più importante.
Ben altro, infatti, merita la nostra attenzione. Volgendo il nostro sguardo verso il cielo, dove da sempre siamo abituati a osservare il nostro sole, le novità sono davvero sconcertanti. Il cielo, prima di tutto, non esiste più… o meglio, è nero e punteggiato di stelle nonostante sia pieno giorno. Ha lo stesso aspetto di quello che, ai tempi nostri, le sonde spaziali inquadravano dalla Luna. L’atmosfera, l’involucro gassoso che circondava il nostro pianeta e che donava al cielo il suo suggestivo colore non esiste più! Dissolta, vaporizzata, dispersa nel cosmo da un qualche evento che di certo deve essere stato di terribile potenza.
Lassù, intanto, domina una presenza del tutto inconsueta…
Un alone multicolore, che sembra avere il proprio centro in una lampadina nella quale riconosciamo a fatica il nostro Sole. Dalla superficie è difficile intuire la dimensione ciclopica di quella strana figura variopinta: miliardi di chilometri di diametro, e ogni giorno guadagna terreno verso l’esterno.
E’ quella che viene chiamata, con un gergo non propriamente tecnico, una “nebulosa planetaria”. La Terra, in verità, si trova già all’interno di essa ed è costantemente spazzata da un vento di particelle cosmiche d’ogni tipo.
All’epoca delle osservazioni astronomiche queste strutture si erano rivelate piuttosto frequenti: si era scoperto che esse rappresentano l’ultimo momento di gloria per le stelle dotate di massa paragonabile a quelle del Sole.
Giunte al capolinea della loro esistenza, esse si liberano di parte della loro massa proiettandola nello spazio e dando vita a un inviluppo destinato a evaporare lentamente negli spazi interstellari. Ecco l’origine dell’alone: la materia emessa dagli strati superficiali del Sole prosegue per inerzia la sua corsa, interagendo con i gas e il pulviscolo che incontra e dando vita a un fuoco d’artificio cosmico che dura migliaia di anni.
Ma solo puntando gli strumenti adatti verso il centro del sistema stellare potremmo goderci il meglio dello spettacolo: quel che resta della nostra stella è una pallina di materia superdensa in cui la struttura atomica non ha resistito alla tenaglia della forza di gravità. Il Sole si è contratto fino a che la struttura atomica ha ceduto, lasciando il posto a un gas “degenere”, in cui gli elettroni si muovono senza più legami con il nucleo atomico.
E’ difficile comprendere in quale forma si presenti questo fluido, che raggiunge una densità da centomila a un milione di volte quella dell’acqua; una manciata di questo materiale pesa quanto una montagna!
E’ l’ultimo, terribile atto della vita di una stella. Il fantasma del corpo celeste a quel punto inizia una peregrinazione che durerà miliardi di anni, durante i quali esso andrà gradualmente spegnendosi.
Rialziamo gli occhi verso quella flebile lampadina che rischiara il cielo. L’istinto vorrebbe convincerci che quello non può essere il nostro Sole. Forse quella visione è solo frutto di un’allucinazione…
La ragione, però, non dà scampo: gli astrofisici, dopotutto, lo avevano previsto con miliardi di anni di anticipo. Prima o poi, anche le stelle devono piegarsi alle implacabili leggi della termodinamica. Un sistema non può produrre energia illudendosi di proseguire all’infinito: quando le riserve da bruciare si esauriscono la vera regina dell’universo, la gravità, prende inesorabilmente il sopravvento.
Questo è dunque il destino del nostro pianeta: un oblio senza fine, fedele compagna di un tizzone che si spegne giorno dopo giorno, senza più identità nell’anagrafe dell’universo.
Eppure la Terra può ritenersi fortunata: Mercurio e Venere, infatti, sono stati vaporizzati quando il Sole, perso il suo equilibrio tra pressione nucleare e gravità, ha attraversato la fase di gigante rossa. Il nostro pianeta, invece, ha miracolosamente mantenuto la propria integrità e ora può fregiarsi del titolo di pianeta più vicino al Sole!
Quante cose possono cambiare in pochi miliardi di anni…

NGC 7293, la Nebulosa planetaria Elica (fonte: Wikipedia).

Consiglio per una buona lettura: “Così parlano le stelle” (Hack Margherita; Gjergo Eda – Sperling & Kupfer 2012)

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