Immortalità

Andare incontro a un buco nero, sfidando le leggi della Natura, può rivelarsi un’esperienza davvero spiacevole…

Sette anni… tanti ne erano passati, ormai, dall’ultimo sguardo al suo pianeta natale.
Quel giorno Marco aveva tenuto lo sguardo fisso verso la Terra fino a vederla svanire nelle profondità del cosmo insieme ai suoi affetti, ai suoi ricordi, alla sua stessa vita.
Da allora aveva dovuto rassegnarsi al baratro immenso che si era spalancato e che lo separava sempre più da casa. Mille, duemila, tremila miliardi di chilometri… ma che senso aveva contarli? Il viaggio procedeva a un ritmo tale da rendere inutile quasi istantaneamente anche il più rapido dei calcoli.
Era partito con la certezza di poter sopportare la solitudine che, prima o poi, lo avrebbe attanagliato. Una commissione di esperti del comportamento umano lo aveva indicato come il migliore tra i candidati, colui che meglio avrebbe potuto sopportare gli effetti di un simile isolamento. Conclusioni che però i fatti stavano clamorosamente smentendo.
Eppure non poteva dirsi solo: Afrodite era sempre al suo fianco, giorno e notte, pronta ad assecondare ogni richiesta con una disponibilità oltre le possibilità di un essere umano.
Perché Afrodite non era un essere umano.
Si trattava di un surrogato cibernetico di una femmina: un essere ai limiti della perfezione, certo, ma la cui presenza si manifestava semplicemente attraverso una voce generata da un computer. Dolce e accomodante, oppure ferma e risoluta, con una serie di sfumature comportamentali adatte a ogni occasione, Afrodite aveva accudito per anni il compagno umano, tanto che c’era stato un tempo in cui Marco aveva quasi rischiato di innamorarsene.
Poi aveva gradualmente imparato a coglierne i risvolti disumani e le reazioni programmate che riducevano Afrodite a una macchina fredda e inquietante.
“Che hai, oggi, Marco?” chiese il computer, con il tono del medico che si informa sulle condizioni di salute di un suo paziente.
“Nulla, va tutto benissimo” -le rispose lui, sforzandosi di mantenere il controllo. Sapeva bene che Afrodite era in possesso di straordinarie capacità empatiche e che poteva monitorare in ogni momento le sue emozioni. E la cosa lo intimoriva non poco.
Conoscendo la spregiudicatezza degli ideatori della missione, Marco aveva maturato l’idea che essi avessero pensato alla sua eliminazione fisica, nel caso in cui si fosse dimostrato non più utile al progetto. Se questo era vero, e la cosa gli appariva ogni giorno più plausibile, vivere o morire dipendeva dalla sua capacità di autocontrollo.
“Pensavo solamente” -continuò- “che ci stiamo avvicinando all’obiettivo della missione. Ne sono davvero felice”.
Mentiva, mentiva spudoratamente. Nemmeno il pensiero di essere ormai giunto al fatidico momento di riprendere la strada del ritorno poteva dargli la serenità d’animo necessaria a proseguire il viaggio.
Perché a casa non avrebbe trovato nessun viso amico ad aspettarlo: viaggiare per anni alla velocità di duecentottantamila chilometri al secondo aveva straordinarie implicazioni sullo scorrere del tempo. I quattordici anni trascorsi a bordo si sarebbero tradotti in quasi due secoli terrestri, abbastanza perché al suo ritorno si trovasse in un mondo sconosciuto.
Se queste erano le prospettive, che cosa lo aveva spinto ad affrontare una simile impresa? Fama, curiosità o semplice avidità di denaro? A sette anni di distanza Marco sembrava aver dimenticato la risposta.
“È vero, oggi è il grande giorno” -annunciò pomposamente Afrodite. “Ci pensi? ” -continuò assumendo un tono innaturalmente entusiasta- “siamo in vista di Cignus 6! Nessuno finora aveva mai osato tanto! Io ne sono orgogliosa. Lo sei, anche tu, vero?”.
Marco annuì, accennando un sorriso. Si chiese come un groviglio di circuiti avrebbe mai potuto essere orgoglioso di qualcosa. Non si trattava che di un programma, una sensazione impostata dagli ingegneri elettronici della NOA, la grande azienda che aveva ideato l’intero progetto.
Era tutto così assurdo!
Avrebbe voluto dire qualche cosa per meglio simulare il suo orgoglio, ma le parole gli morirono in gola. Rimase in silenzio, soffocando come d’abitudine ciò che aveva dentro.
Eppure l’obiettivo della missione era quanto di più entusiasmante la tecnologia del suo tempo poteva offrire: avvicinare un buco nero, sporgersi fin sull’orlo del non-ritorno per gettare un’occhiata all’interno della più mostruosa macchina di morte che la Natura avesse mai ideato.
Quanti romanzi, quanti trattati scientifici e quanti dibattiti sull’argomento si erano avvicendati negli ultimi secoli!
Da quando le complesse equazioni di Albert Einstein ne avevano proposto l’esistenza, i buchi neri erano divenuti il più affascinante tra i misteri cosmici, tanto che si era coniato il termine “singolarità spaziotemporale” per descriverne le incredibili caratteristiche.
Al suo imbarco sulla navetta Marco credeva di sapere quale sarebbe stato il suo compito a bordo. Era lì per fornire una testimonianza umana, perché il mondo potesse condividere le sensazioni di un essere vivente in procinto di sfidare le leggi dell’universo.
Sotto l’occhio vigile di Afrodite, egli aveva tenuto un video-diario giornaliero, descrivendo l’emozione di vedere quell’enorme voragine nel cielo farsi sempre più vicina e minacciosa. La registrazione veniva quindi inviata sulla Terra e trasmessa dalle televisioni di ogni paese; il tutto, ovviamente, con un ritorno economico senza precedenti.
Si trattava di una specie di telenovela cosmica di cui solo i discendenti dei primi spettatori avrebbero conosciuto il finale. Una trovata geniale trasformatasi in un business enorme.
Ora era giunto il giorno della puntata più entusiasmante, durante la quale gli spettatori avrebbero potuto vedere Marco, il loro beniamino, andare incontro all’infinitamente potente.
“Distanza novecentomila chilometri, decelerazione in corso” – la voce di Afrodite lo distolse dai suoi pensieri. “Proseguiremo sulla rotta prestabilita a cinquecento chilometri al secondo.
Ci pensi, Marco?” -continuò il computer con voce studiata. “Ci troviamo a meno di un milione di chilometri dal più grande mistero della Natura. Non senti un irresistibile impulso di tuffartici dentro?”.
Marco non poté trattenere un brivido di terrore. Quella domanda sembrava fatta ad arte per sondare la sua reazione.
In effetti, il dubbio l’aveva sempre avuto. Perché la NOA avrebbe dovuto rinunciare al salto nel buco nero dopo un viaggio di ventisettemila miliardi di chilometri? Dimostrare degli scrupoli dinnanzi alle enormi cifre investite per la missione, nel mondo ipertecnologico del ventiquattresimo secolo, non era certo una mossa azzeccata.
Con un’operazione del genere l’azienda avrebbe riscosso un successo schiacciante e si sarebbe aggiudicata l’appalto per tutte le più importanti imprese dei decenni a venire.
Che fantastico finale per la sua storia televisiva! Essere l’agnello sacrificale per la gloria della NOA, era quello il suo destino?
In questo caso, ovviamente, Afrodite sapeva tutto dall’inizio e lo aveva ingannato come solo un computer poteva fare.
“Sai bene” -le rispose lui- “che varcare l’orizzonte degli eventi significherebbe imboccare una via senza ritorno…”.
“Sulla natura dei buchi neri sono state avanzate mille teorie” -lo interruppe bruscamente Afrodite. “Potremmo anche superarlo indenni, e trovarci in un punto qualsiasi dello spazio-tempo. In quel caso avremmo il sei per cento di probabilità di ritrovarci entro un raggio di un anno luce dalla Terra…”.
“Al diavolo tu e le tue probabilità! ” -reagì lui rabbiosamente. “Anche se dovessimo sopravvivere alla singolarità ti dico io qual è l’unica certezza che ci resterebbe: quella di non potere più fare ritorno a casa!”.
La voce artificiale, per la prima volta, sembrò esitare di fronte alla reazione del compagno umano.
La sala comandi piombò in un silenzio inusuale.
Ormai era chiaro che l’obiettivo finale della missione non era il ritorno sul pianeta Terra. Afrodite aveva mentito e il buco nero stava ormai fagocitando lo spazio attorno alla navetta.
Ecco spiegate tante stranezze! La frettolosa convocazione alla NOA, le risposte rassicuranti, il sostanzioso premio in denaro che sarebbe stato versato alla famiglia… tutto si era svolto così velocemente che Marco non aveva potuto rendersi conto di ciò cui stava andando incontro.
In ogni caso, nessuna punizione avrebbe mai potuto colpire chi lo aveva mandato verso morte certa. Se e quando fosse tornato sulla Terra, cosa molto improbabile, non avrebbe trovato che i loro discendenti!
“Non sei per nulla costruttivo” -riprese finalmente il computer, scandendo le parole con un tono di rimprovero.
Marco si pentì amaramente di aver perso il controllo a quel modo. Aveva portato alla luce tutte le sue emozioni e ora si trovava a giocare a carte scoperte.
Non tutto era perduto: se fosse riuscito a raggiungere il pannello principale, forse…
“Una reazione fuori d’ogni logica” -continuò Afrodite, come se stesse pronunciando una sentenza di condanna. Aveva letto nelle sue emozioni, trovandovi rabbia e disperazione. A quel punto la presenza del compagno umano non aveva più senso.
Afrodite, con tutta la strumentazione di cui disponeva, avrebbe comunque fornito una preziosissima testimonianza dell’evento, puntando i trasmettitori verso Terra non appena varcata la soglia della singolarità. Se fosse sopravvissuta, ovviamente: ma questo per un computer non era di nessuna rilevanza.
Marco doveva agire in fretta e senza esitazioni. Il sistema d’aerazione, ecco come probabilmente sarebbe stata portata a termine la sua esecuzione. Una semplice immissione di qualche gas mortale, e per lui non ci sarebbe stato scampo.
Se era nel giusto, non gli rimanevano che pochi istanti per trovare il modo di disattivare Afrodite.
Si guardò attorno. Dagli oblò il buco nero era ormai paurosamente vicino, molto più delle simulazioni svoltesi nei laboratori della NOA.
Decine di stelle si affollavano nei pressi del pozzo nerissimo in una mastodontica girandola di luci e colori. Presto ne avrebbe condiviso lo stesso destino, tutti prigionieri di una sorta di ragnatela tesa da un ragno cosmico.
“Quanto manca al contatto?” -chiese Marco, nella speranza di riprendere la comunicazione con il computer.
“Afrodite…?” -ripetè.
Nessuna risposta. Sui monitor si succedeva la consueta sequenza di cifre, simboli e schemi grafici. Chissà se tra essi si celava il progetto della sua eliminazione.
“L’umano ha perso il controllo” -riprese improvvisamente Afrodite. “Il suo comportamento può compromettere il normale svolgimento della missione…” -proseguì con un tono sinistro, del tutto nuovo.
Marco non rispose, non aveva più senso. Non c’erano più dubbi, ormai, sul fatto che uno dei due era di troppo. E se fosse riuscito a neutralizzare Afrodite? Invertire la rotta non era più possibile: i motori non avrebbero potuto opporsi alla gravità del buco nero. La morte rimaneva in ogni caso l’eventualità più probabile: una su duemila, questo era il numero delle speranze di vita che fisici e cosmologi avevano concesso al primo uomo che avesse varcato la soglia dello spazio-tempo. Di certo non sarebbe potuto tornare al suo mondo, se non violando le leggi della fisica. Secondo le ipotesi degli scienziati, quel passaggio che per lui sarebbe durato una sola frazione di secondo, per un osservatore esterno si sarebbe prolungato per tutta l’eternità.
Come sarebbe dunque potuto uscire prima ancora di entrare? Era una contraddizione che non lasciava scampo! Si sentì terribilmente solo, una specie di moderno Don Chisciotte inviato a sfidare i mulini a vento del cielo per soddisfare la curiosità di milioni di telespettatori.
Tutta l’inquietudine di quegli ultimi mesi venne a galla improvvisamente, travolgendolo come un fiume in piena. Con il primo oggetto che trovò a portata di mano si scagliò contro il pannello di controllo di Afrodite, martellandolo disperatamente.
“Ciò che stai facendo non ha alcun senso” -reagì Afrodite con sorprendente indifferenza. “Sappi che siamo ormai troppo vicini al buco nero per invertire la rotta…” -sussurrò con tono beffardo.
Lui non la ascoltò nemmeno. Si accanì sui fasci di circuiti bioelettronici, mandando in frantumi l’anima stessa del computer. Non si fermò fino a che mille scintille esplosero dinnanzi a lui, decretando la morte del cervello elettronico. Si gustò sadicamente il progressivo affievolirsi delle sue spie luminose, lo svanire dei diagrammi sui monitor, il ronzio sempre più flebile degli altoparlanti che per sette anni avevano diffuso la voce della compagna e che ora si spegnevano in un ultimo rantolo.
Ora era veramente solo.
Guardò fuori della stupenda vetrata che lo separava dal vuoto cosmico, sperando di potersi risvegliare da un incubo e non vedere più la mostruosa presenza divorare il cielo.
Ma il buco nero era sempre lì, ancora più grande.
Pur non essendo uno scienziato, Marco sapeva bene a che cosa stava andando incontro. Quello che aveva davanti non era un vero e proprio “buco”. Un buco ha una sua dimensione, grande o piccola. In questo caso si trattava piuttosto di un “punto” in cui tempo e spazio venivano aspirati e letteralmente annullati.
Appoggiato sul bordo di un oblò, la testa affondata tra le braccia conserte, rimase immobile ad attendere il suo destino. Lo atterriva il pensiero che tra poco la sua navetta sarebbe stata stirata dalla gravità fino a essere ridotta a una specie di nastro di metallo senza spessore. Come potesse essere possibile, non aveva molta importanza.
Una piccola soddisfazione, in ogni caso, se la sarebbe presa. Interrompendo la trasmissione del video-diario proprio sul più bello, la NOA avrebbe subito un grave danno d’immagine e ridimensionato non di poco i proventi. Il pensiero di infuocate assemblee aziendali, durante le quali sarebbero cadute non poche teste, gli strappò almeno per un attimo un sorriso.
Venne riportato alla realtà dal brusco calo dell’illuminazione nella sala comandi. Ormai era prossimo all’orizzonte degli eventi: da quel momento nessuna forma di energia sarebbe più potuta sfuggire alla voracità del buco nero.
Diede un ultimo sguardo agli astri che presto avrebbero subito il suo stesso destino, abbandonandosi a uno strano senso di solidarietà verso quei compagni di sventura con i quali stava condividendo gli ultimi istanti. Si ricordò della teoria della relatività formulata da Einstein alcuni secoli prima, che costituiva ancora la migliore rappresentazione del mondo fisico. Ne stava avendo la più sconcertante conferma: attorno a lui spazio e tempo stavano cambiando identità… gli sembrò di godere di una sorta di ubiquità, come se potesse trovarsi nello stesso momento in ogni angolo della navetta.
Chissà che cosa avrebbe pagato uno scienziato per essere al suo posto! Ma la cosa, certo, non lo consolava.
Si rassegnò all’idea della fine che poteva giungere in qualsiasi momento. Sarebbe confluito nella singolarità e compresso insieme agli altri corpi celesti.
Attese invano, forse per un secondo, forse per minuti, ore, giorni… che cosa stava succedendo? Era come se qualcuno si stesse divertendo a tenere ferme le lancette dell’orologio!
Non si trattava di una considerazione senza senso: molti scienziati, esaminando le sconvolgenti conseguenze della teoria della relatività, avevano prospettato l’esistenza di un censore cosmico, una specie di guardiano che impedisse a chiunque di accedere a un luogo dalle caratteristiche tanto assurde. Tentò di guardarsi intorno, ma non poté fare nulla, prigioniero di quell’istante. Tentò ancora, ma l’unico risultato fu di rivedersi appoggiato sul bordo dell’oblò, lo sguardo nel vuoto, la mente concentrata sulle stesse considerazioni.
Era forse questo lo stratagemma ideato dal censore?
Una sorta di gabbia spaziotemporale alla quale nulla e nessuno poteva sfuggire? No, sarebbe stato troppo orribile. Avrebbe significato trascorrere in quella situazione tutta la storia dell’universo!
Fu costretto ancora una volta a tornare all’idea di essere compresso in un solo punto insieme alle stelle intorno a lui, poi un’altra volta, quindi un’altra ancora, in una sequenza senza fine in cui tutti i processi mentali erano congelati in quell’unico, ossessionante pensiero.
La morte, a quel punto, diventava una meta ambita quanto irraggiungibile.
Tentò di chiudere gli occhi per sottrarsi all’orribile incubo che si stava materializzando. Non vi riuscì, prigioniero delle azioni compiute nella frazione di secondo impiegata per varcare l’orizzonte degli eventi.
Era divenuto immortale, ma a quale prezzo!

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