La bici e la notte
In questo pezzo cedo la… tastiera all’amico Andrea per ospitare sul mio sito la testimonianza di un ciclismo diverso, almeno da quello che pratico io
Devo dire che, pur trattandosi di una pedalata in condizioni fuori dall’ordinario (in piena notte!), nel racconto si intuiscono molti degli aspetti che fanno amare la bici anche a me: un pizzico di avventura, il piacere di stare in compagnia, ma anche la possibilità di godere dei momenti in solitudine, dove lasciar correre la fantasia e i propri pensieri. Dal racconto di Andrea, inoltre, si direbbe che l’atmosfera notturna renda tutto ancor più coinvolgente!
Ecco dunque la sua cronaca della Bolzano-Passo Resia (110 km con 1500 metri di dislivello), manifestazione cicloturistica svoltasi tra sabato 9 e domenica 10 luglio 2016.
Bella la partenza in piazza Walter, proprio sotto il duomo illuminato.
168 partenti. Pensavo di più, ma è appena la seconda edizione e il percorso è forse un po’ troppo impegnativo per il grande pubblico (a Ferrara il mese scorso erano in 1450 a veder sorgere il sole dal mare, ma i 100 km erano in pianura). Comunque l’organizzazione è volenterosa, c’è un gran bel clima.
Percorriamo tutta via Druso scortati dai vigili urbani e ad un tratto vengo raggiunto dal mio collega che aveva partecipato anche l’anno scorso: alla fine ha deciso e si è iscritto all’ ultimissimo momento… ovviamente senza alcun allenamento. Decidiamo di fare il viaggio insieme, almeno fin quanto possibile, visto che oltre ad essere poco allenato ha anche una mountain bike, che su una distanza così lunga non è proprio il mezzo più adatto.
Dopo via Druso le moto ci scortano fino a Ponte Adige e lì comincia la vera notturna.
Un po’ di sorpassi e controsorpassi all’inizio, poi ognuno trova il proprio passo e i vari gruppetti procedono tranquilli fino a Sinigo, dove è fissato il primo ristoro. Il mio socio si ferma per un caffè mentre io tiro dritto.
All’ingresso a Merano trovo un gruppetto di ciclisti un po’ in difficoltà con la segnaletica e mi metto alla testa del gruppo per guidarli lungo il percorso di attraversamento della città, che in effetti, di notte (e anche di giorno), non è proprio agevolissimo.
In piazza San Vigilio il primo contrattempo della nottata. Terminato il tratto che corre lungo la piazza, percorso su strada, io che sono davanti rientro piano piano sulla destra dove ricomincia la ciclabile. Conosco bene il posto, ci passo molto spesso per lavoro e so che non devo tagliare subito ma devo aspettare che finisca il marciapiede, bassissimo, che preso di taglio mi farebbe scivolare la ruota e cadere. Purtroppo, però, sul momento, in quel brevissimo lasso di tempo in cui riconosco che quello che sembra una riga bianca è in realtà un pericolosissimo bordino alto un centimetro, non mi viene in mente di segnalare ad alta voce questa cosa. Nel frattempo la prendo larga, aspetto che finisca il marciapiede ed entro in ciclabile. Sento che chi mi è immediatamente dietro fa lo stesso, ok… e poi un gran botto !! :-O Mi fermo, giro e torno indietro. C’è un ciclista a terra.
Ha visto girare noi due ed ha tagliato, la ruota ha preso per lungo il marciapiede ed è scivolata. AZZ!!!
Rimane a terra un minuto buono, cosa che mi preoccupa tantissimo considerando che l’amico Saverio in una caduta dalla dinamica simile c’ha lasciato un femore (!!), poi fortunatamente piano piano si rialza. Ha anche tirato una testata al paraurti di un’auto parcheggiata, ma il casco ha fatto il suo lavoro. E’ dolorante alla schiena, ma sta sostanzialmente bene e piano piano si rimette in sella.
Mentre lui lentamente riparte circondato dai suoi compagni di squadra, io mi aggrego ad un gruppetto che arriva lanciato e passa oltre. Sono l’ultimo, ma stavolta anche da dietro qualche voce sui pericoli del percorso cittadino la do e in un attimo siamo a Lagundo dove comincia la salita che ci porterà ad attaccare il “piccolo Stelvio”, il primo vero strappetto della nottata.
Con i miei 600 km stagionali e 80 ancora da fare, me la prendo comoda e salgo tranquillo, che è ancora lunga. In salita mi superano in 7-8, ma appena arrivato a Tel non vedo più nessuno, né davanti né dietro. Poco male, anzi sono contento di stare un po’ da solo con i miei pensieri.
Dopo una mezz’oretta vengo superato da un trio (2 uomini e una donna) che viaggia piuttosto bene e mi ci aggrego, in modo da fare un po’ di velocità. Arrivo così al secondo ristoro.
Sono in tabella di marcia (48 km alle 2.15) e me la prendo con comodo, tanto non mi corre dietro nessuno. Dopo circa 20 minuti, mentre sto per ripartire, arriva il gruppetto che avevo lasciato a Merano e vado a sincerarmi delle condizioni del… caduto. :-D Ha un po’ male, non riesce a spingere ed è preoccupato per la salita che verrà più avanti, ma se è arrivato fin qui non è niente di serio, e questo è l ‘importante. Lo saluto, risalgo in sella, parto e mi sento chiamare…. è il mio collega. Arrivato da un po’, è pronto per ripartire e allora si va insieme.
Qui cominciano i primi problemini, per entrambi. Io comincio a soffrire un po’ il freddo: previsioni alla mano, avevo calcolato che smanicato, manicotti e sottocasco fossero sufficienti (in via del tutto eccezionale stavolta non ho zaino), ma non avevo considerato gli impianti di irrigazioni aperti in piena notte e la relativa umidità nell’aria. Lui è ben coperto, ma comincia ad essere stanco. Insomma, arriviamo nel tratto sterrato con 2 spiriti completamente opposti: lui contento di poter tirare il fiato in discesa, affronta le salite bestemmiando; io contento di potermi scaldare in salita, affronto le discese congelando. Andiamo anche a 2 ritmi diversi perché in salita si pianta lui e in discesa rimango dietro io che con la BDC sullo sterrato sono svantaggiato rispetto alla sua MTB.
Nel lungo tratto verso Prato allo Stelvio io continuo ad avere freddo, ma per lui è anche più dura: sulla distanza la mancanza di allenamento la sente, c’è poco da fare. Mi adeguo alla sua velocità, chiacchieriamo un po’ così passa meglio e alle 4.43 arriviamo al terzo rifornimento, proprio nel paese ai piedi dello Stelvio. E’ stanco, vuole mangiare e riposare un po’ prima del duro tratto finale. Io invece sto bene per cui decido di fermarmi pochissimo, voglio portarmi avanti nel caso il sonno diventasse un problema.
Qui per me comincia il momento più bello di tutto il percorso.
E’ arrivato il giorno, qualche raggio comincia a scaldare l’ aria, finalmente, e guardandomi intorno ormai si vede bene.
Mi ritrovo da solo e mi piace.
Passo vicino alle case immaginandomi i loro abitanti ancora addormentati, poi supero il campeggio di Glorenza dove tutto ancora tace, immaginandomi che fra un paio d’ore sarà tutto un fermento di gente che si prepara per la nuova giornata … insomma un momento quasi poetico.
E le gambe girano, nonostante sia in salita, nonostante le 5 ore già pedalate, girano che è un piacere.
Cominciano le rampe finali, fa “caldo” e mi fermo un attimo sulla destra per tornare in assetto estivo. Sopraggiungono un paio di giovani in MTB e uno dei due, vedendomi fermo mi fa:
“Siamo arrivati???”
“Come arrivati? Mancano 15 km!”
“Veramente? Nooooo, non dirmi così, noooo” e prosegue.
Finisco di mettere via la roba nella sacca sottosella, riparto e lo affianco.
“Come va?”
“Eh, è durissima… ma veramente manca così tanto ???”
“Eh, sì. Anzi, scusa se te l’ho detto così, ma pensavo scherzassi. Altrimenti te l’ avrei detto con più tatto”
“Ma… tutto così?? “Sì, mancano 400 metri di dislivello e sono tutti così: rampone e spiana, rampone e spiana…”
“Ah, ok, concentriamoci. Concentriamoci !!” (parla a se stesso)
Li lascio e riprendo a salire al mio ritmo.
Poco più avanti raggiungo una donna. Appena la affianco anche lei mi chiede se ci sono ancora rampe. Alla mia risposta affermativa, non sembra molto contenta. Capisco che è un po’ in difficoltà e decido di restare nei paraggi, per una sorta di muto supporto psicologico. A volte sono un po’ più avanti, a volte sono un po’ più indietro perché mi fermo per non farmi bagnare dalle girandole (lei c’ha la giacca e se ne frega) ma saliamo insieme, tanto abbiamo più o meno lo stesso passo.
Arriviamo sul rampone che passa attraverso dei ruderi e, improvvisamente, a metà rampa si ferma: crampi.
Mi fermo per aiutarla e, colpo di scena, mentre la aiuto a stirare la gamba arriva la… CARAMMBATA!!! :-))
“Ma… ci conosciamo?”, mi chiede.
“Non saprei.. io sono di Bolzano”
“Anch’io!”
“E come ti chiami?”
“Paola”
“Ma sì! Sei la compagna di Vincenzo! Ci siamo conosciuti al Sellaronda di 2 anni fa. Fra casco ed occhiali scuri non ti avevo riconosciuta.”
Lasciamo Raffaella Carrà risaliamo in bici e, percorsi gli ultimi km, alle 7.12 finalmente tagliamo il traguardo, posto proprio di fianco al campanile sommerso.
Tempo di fare una breve colazione offerta dall’organizzazione, attendere il mio collega che anche quest’anno è sopravvissuto (7.27) ad un’impresa superiore al suo stato di allenamento, salutare Paola che riparte per ridiscendere verso Bolzano in bici (grandissima!!!) e alle 8.00 sono sul pullman dell’organizzazione che mi riporterà a Bolzano.
Nella fila di fianco c’è anche il “caduto di Merano” :-D Nonostante le botte ed i dolori alla fine ce l’ha fatta, bravissimo anche lui!
L’autobus più silenzioso nella storia mondiale delle gite: l’ unico che non dormiva era l’autista! :-D
Di Andrea Daltrozzo