Le stelle: astri in continuo divenire

Una stella si può definire come un corpo celeste composto da elementi gassosi (che, data la fortissima gravità, si presentano in un particolare stato definito “plasma”) in grado di emettere luce propria. Questa definizione ci permette di distinguere un pianeta come la Terra o Marte da una stella come il nostro Sole. Da notare che esistono anche corpi “ibridi” che, per vari motivi, non hanno raggiunto lo status di stella vera e propria; si può in un certo senso parlare di “stelle mancate” o, con un termine più tecnico, “nane brune”. Un pianeta del nostro sistema solare, Giove, ha una massa non troppo distante da quella di una piccola nana bruna.
Il Sole e le altre stelle. La stella a noi più nota è ovviamente il Sole. Alcuni ignorano che i numerosissimi astri scintillanti nel cielo notturno sono altrettanti soli, simili al nostro, ognuno con caratteristiche diverse e spesso sorprendenti. La grande distanza che ci separa da questi corpi celesti fa sì che essi ci appaiano puntiformi, ma l’osservazione ai grandi telescopi rivela la loro vera natura di masse gigantesche e di vari colori. Normalmente, inoltre, le stelle sono aggregate in grandi strutture chiamate galassie. Ogni galassia può essere composta da un numero variabile di stelle, generalmente qualche miliardo, fino a centinaia di miliardi. Non è possibile osservare a occhio nudo dal nostro pianeta stelle di altre galassie: al massimo sono le galassie stesse che ci appaiono come dei fiocchetti bianchi, che con un telescopio si risolvono in una moltitudine di stelle. Ovviamente non disponiamo di immagini prese dall’esterno della nostra galassia, la Via Lattea. Non esiste infatti, né forse verrà mai costruita, una sonda talmente veloce da poter uscire in tempi ragionevoli dai confini della Via Lattea e fornirci le sue immagini. È possibile quindi avanzare solo una ricostruzione ipotetica (comunque più che plausibile) della sua forma, che dovrebbe appartenere alla classe delle galassie a spirale, le più comuni nell’universo. Essa contiene circa duecento miliardi di stelle e ha un diametro di centomila anni luce. La galassia più vicina alla Via Lattea è Andromeda, a 2,3 milioni di anni luce dalla Terra.
La possibilità, peraltro verificata con le recenti osservazioni strumentali, che alcune stelle possiedano un sistema planetario, ovvero una coorte di pianeti che ruota attorno ad essa, ci porta ad una interessante considerazione. Dato che le stime degli scienziati parlano di miliardi di galassie presenti nel cosmo, anche ammettendo che solo una piccola parte delle stelle di una galassia possieda un sistema planetario, un semplice calcolo ci porta ad un enorme numero di mondi più o meno simili alla Terra. E anche supponendo che solo una piccolissima parte di essi offra condizioni favorevoli alla vita, si giunge alla conclusione che difficilmente l’uomo è solo nell’universo…
Una lunga vita. La vita di una stella è quanto di più affascinante possa offrire la ricerca scientifica. Esse si originano nelle nebulose, vere e proprie incubatrici cosmiche. Per gravità, il pulviscolo ed i gas della nebulosa (soprattutto idrogeno ed elio, i gas più semplici diffusi nell’universo) tendono ad aggregarsi, formando unità più grandi che attraggono ancor più materiale e ad acquistare una sempre maggiore velocità di rotazione. Ad un certo punto nella nebulosa un nucleo di aggregazione prevale su quelli vicini, creando un primo embrione della futura stella. Se il materiale è sufficiente, il processo continua per milioni di anni fino a formare corpi di dimensioni molto grandi; nel frattempo, la pressione all’interno aumenta (per una legge fisica, quando un gas viene compresso esso tende a scaldarsi), fino ad una temperatura che permette l’innesco della fusione nucleare (circa 15 milioni di gradi). Grazie a questo processo, quattro atomi di idrogeno fondono insieme dando vita ad un atomo di elio; è importante il fatto che durante questo processo viene liberata una grande quantità di energia.
Le stelle devono dunque la loro luce ed il loro calore al processo di fusione nucleare. In sostanza, un sole non è altro che una bomba H di dimensioni enormi in continua esplosione! A questo punto la stella inizia a brillare; il vento solare che si origina dalla enorme emissione di energia spazza ciò che resta della nebulosa e la stella entra nella sua fase matura. Per un lunghissimo periodo di tempo, che può variare tra alcuni milioni e alcuni miliardi di anni, le stelle rimangono in uno stato di equilibrio (definito “idrostatico”) tra la forza di gravità, che tenderebbe a stritolarne la struttura, e la pressione verso l’esterno esercitata dalle reazioni nucleari, che di per sé sarebbe più che sufficiente per scagliare il materiale stellare nel cosmo. La durata di questa fase dipende dalle dimensioni della stella: più essa è grande, più le temperature al suo interno sono alte e più frenetica è di conseguenza l’attività nucleare che deve tenere testa alla forza di gravità. Nelle stelle di grande massa, quindi, viene bruciata una grande quantità di idrogeno per unità di tempo; per questo la stella non rimarrà a lungo in questa fase di equilibrio. L’unità temporale più piccola da considerare è, in ogni caso, il milione di anni. Un classico esempio di stelle “sprecone” è quello delle Pleiadi, un gruppo di soli posti a 443 anni luce dalla Terra. Il loro colore bianco azzurro e la grande luminosità tradiscono una attività nucleare frenetica, che le porterà inevitabilmente a una morte precoce: decine, al massimo qualche centinaia di milioni di anni!
Giganti rosse. Nonostante vi siano stelle che possono condurre una vita più che tranquilla per miliardi di anni, prima o poi l’equilibrio tra gravità e fusione nucleare è destinato a spezzarsi: quando la pressione nucleare viene meno, la gravità prende il sopravvento, tendendo a comprimere la stella verso il centro. La maggior pressione fa aumentare la temperatura interna, permettendo l’innesco di altre reazioni nucleari. A 100 milioni di gradi l’elio entra in fusione generando carbonio. La stella trova nella fusione dell’elio una nuova fase di equilibrio, che le permette di tornare a contrastare la gravità. Ma il declino, a questo punto, è già iniziato. L’aumentata temperatura fa sì che l’idrogeno presente attorno all’astro entri in fusione: la stella diviene così dieci, cinquanta, cento volte più grande, inglobando gli eventuali pianeti che ruotano nelle sue vicinanze. Gli strati più esterni, via via più rarefatti dal centro verso la periferia, assumono una colorazione rossastra per la forte perdita di temperatura a contatto con lo spazio circostante, la cui temperatura è di pochissimo superiore allo zero assoluto; siamo nella fase di gigante rossa. Per un osservatore esterno, nonostante la temperatura dell’astro sia di decine di migliaia di gradi, lo spettacolo è quello di un corpo rosso ed evanescente.
La morte del Sole. Va detto che questo tipo di fusione innescatosi richiede molto carburante, ma produce poca energia: la stella, dunque, non può rimanere in questo stadio per molto tempo. In base alla sua massa, essa avrà destini diversi. Nel caso di astri con dimensioni paragonabili al nostro Sole si stima che la fusione dell’elio possa mantenere una condizione di stabilità per circa 100 milioni di anni. Come già accennato, in questa fase gran parte del Sistema solare sarà già andato distrutto. Il nostro Sole, giunto allo stadio di gigante rossa, sarà infatti in grado di inglobare con gli strati più esterni non solo l’orbita della Terra, ma forse anche quella di Marte. Quando anche la fusione dell’elio è terminata la gravità riprende il sopravvento, portando la stella al collasso finale. La densità arriva a migliaia, milioni di grammi per centimetro cubo. Giunti ad uno stadio in cui la stella è stata compressa fino ad un corpo delle dimensioni della Terra, anche l’edificio atomico cede. Dallo stato di materia “ordinaria”, così come noi la conosciamo, si passa ad un fluido che gli studiosi definiscono “degenere”, un mare di particelle atomiche senza più una struttura organizzata, la cui densità arriva a livelli inimmaginabili: un cucchiaino di materiale peserebbe sulla Terra diverse tonnellate. La forza di repulsione elettrostatica che ancora agisce tra le particelle nucleari (protoni, neutroni ed elettroni) evita ulteriori compressioni, contrastando la morsa gravitazionale. È l’equilibrio finale. Si giunge all’ultimo atto, lo stadio di nana bianca. Nella fase di passaggio da gigante rossa a nana bianca, caratterizzato da una rapidissima fase di contrazione, il contraccolpo è talmente violento che gli strati più esterni della stella vengono espulsi verso lo spazio con liberazione di una grande quantità di luce e calore. Agli occhi di un astronomo di un remoto pianeta il fenomeno verrebbe annotato come una “nova”. La materia stellare, espulsa a velocità di migliaia di chilometri al secondo, darà gradualmente vita ad una nebulosa planetaria, un suggestivo anello multicolore che va gradualmente allargandosi nel cosmo. Per milioni di anni la nana bianca continuerà a brillare grazie al calore residuo delle passate attività di fusione, nonostante le dimensioni l’abbiano ormai ridotta al rango di flebile lampadina cosmica. Poi, gradualmente, anche l’ultimo raggio di luce si spegnerà e l’astro scivolerà silenziosamente allo stadio di nana nera per un tempo inconcepibilmente lungo.
Supernove e stelle di neutroni. Il destino più spettacolare è riservato alle stelle con massa più del triplo di quella solare. Dopo la sintesi del carbonio, nel nucleo si raggiungono temperature talmente elevate da dare origine a elementi via via più pesanti, dall’ossigeno al magnesio, fino a 600 milioni di gradi, valore al quale avviene la produzione tramite fusione nucleare del ferro. Nel frattempo la densità è andata progressivamente aumentando: a questo punto un cucchiaino di questo materiale peserebbe sulla Terra un miliardo di tonnellate. La fusione del ferro segna un punto di svolta, dato che questo processo assorbe energia invece di emetterne. L’equilibrio è rotto: nulla può più contrastare la gravità, che causa un collasso praticamente istantaneo di ciò che rimane della stella. In un solo decimo di secondo viene liberata con una tremenda esplosione l’energia di una intera galassia! È la supernova. La temperatura raggiunta, stimabile in un miliardo di gradi, induce la produzione dei restanti elementi della tavola periodica. Noi tutti siamo dunque figli delle stelle…
Oltre ai semi della vita, la supernova è anche portatrice di morte. Raggi X, raggi gamma e altre radiazioni elettromagnetiche ad altissima frequenza vengono irradiate nello spazio circostante. Un pianeta che si trovasse sul loro cammino subirebbe una sorta di “sterilizzazione” in grado di cancellare le eventuali forme di vita presenti. Questa possibilità è considerata talmente plausibile da spingere alcuni scienziati ad avanzare l’ipotesi che talune estinzioni di massa verificatesi sul pianeta Terra altro non siano che la conseguenza di supernove manifestatesi nei “dintorni” (alcuni anni luce) del nostro pianeta. I Dinosauri, quindi, potrebbero essere scomparsi a causa di una stella morente, piuttosto che per la caduta di un meteorite!
Torniamo a ciò che rimane della stella. A seconda della massa rimanente, il destino a cui si va incontro è diverso: il collasso gravitazionale si può fermare quando protoni ed elettroni collidono, formando un mare indistinto di neutroni, la cui densità è un milione di volte maggiore di una nana bianca. In questo caso la forza repulsiva tra queste particelle è sufficiente per contrastare la gravità. Si forma una stella di neutroni, un corpo celeste davvero singolare, dal diametro di pochi chilometri, che nelle prime fasi di vita ruota ad un ritmo frenetico attorno al proprio asse (anche più volte al secondo!), per poi rallentare nel corso del tempo. Gli astronomi considerano le stelle di neutroni veri e propri “fari cosmici” per la capacità di emettere fasci di onde radio dai loro poli, tanto da risultare dei punti fermi per l’osservazione radioastronomica. Nel 1054 vi fu il primo e più famoso avvistamento di una supernova nel cielo terrestre. Va dato merito agli astronomi cinesi di aver riportato nelle loro cronache, fortunosamente giunte fino ai nostri tempi, tale avvenimento. L’astro rimase visibile nel cielo diurno per diverse settimane. Testimonianza attuale di quella immane esplosione è la bellissima nebulosa del Granchio, distante 6300 anni luce dalla Terra. Al centro di questa suggestiva nube di gas incandescente, il cui diametro misura circa 10 anni luce, una piccola stella di neutroni ruota su sé stessa 30 volte ogni secondo emettendo un’energia pari a quella di 100 mila soli. Un altro dato sconcertante: la nebulosa si espande ancor oggi con una velocità di 1800 chilometri al secondo! Le stelle di neutroni, per il caratteristico pulsare che le contraddistingue, sono chiamate anche “pulsar”.
Ecco dunque che anche in questo caso, sia pur con modalità ben più catastrofiche, l’ormai ex-stella raggiunge uno stato di equilibrio definitivo. Nel corso del tempo la rotazione si farà via via meno rapida, fino a che l’energia a disposizione terminerà. Ciò che rimarrà sarà un corpo freddo, densissimo e invisibile ai nostri occhi.
Buchi neri. In caso di masse ancora più grandi, nemmeno la forza repulsiva tra i singoli neutroni riesce a controbilanciare la forza di gravità e il collasso non ha possibilità di arrestarsi. La stella viene stritolata e, secondo le teorie più accreditate, ridotta a un punto geometrico, creando uno strappo nel tessuto del nostro universo: si crea un buco nero, un pozzo senza fondo in cui la materia viene risucchiata e distrutta, e dal quale nemmeno la luce può sfuggire. Il solo fatto che l’intera massa di una stella sia compressa in un punto geometrico basta a rendere ogni tentativo di spiegazione a dir poco imbarazzante. Preconcetti e deduzioni ispirate dai nostri sensi ci portano a ritenere tempo e spazio come grandezze assolute e immutabili. Nel “regno” di un buco nero, quella fascia concentrica a esso delimitata dall’orizzonte degli eventi, le leggi della fisica classica non valgono. Tempo e spazio perdono il significato che siamo abituati a dare loro. Varcato l’orizzonte degli eventi, nulla può portare in salvo un incauto esploratore cosmico, nemmeno una navetta che viaggiasse alla velocità della luce. Ma prima di essere stirato fino a diventare una stringa di spessore nullo, egli potrebbe forse assistere a eventi davvero sconcertanti. La storia di tutto l’universo, passata e futura, per lui non avrebbe più segreti. Muoversi da un momento ad un altro nel tempo, anche all’indietro, gli risulterebbe semplice come muoversi nello spazio. Ma tutto ciò, come detto, anche se accadesse non potrebbe mai essere raccontato a nessuno: per un osservatore esterno l’atto di varcare l’orizzonte degli eventi durerebbe per tutta l’eternità! Un buco nero è quindi un vero e proprio affronto alle leggi della nostra fisica, un “non-luogo” da cui non vi è ritorno.
Stelle gialle, rosse, blu… La nostra vista, alquanto limitata, potrebbe farci pensare che tutte le stelle del cosmo siano di colore bianco, con qualche sfumatura tendente al giallo (come il nostro Sole) o al rosso, né può farci immaginare quanto diverse possano essere le loro dimensioni. Ma con il progredire dell’osservazione astronomica, prima con i telescopi e poi con gli spettroscopi, si è scoperto che esistono varie classi di stelle, contraddistinte da diverse temperature, composizione, dimensioni e brillantezza.
Il colore di una stella è determinata dalla sua temperatura, che a sua volta dipende dalla massa (come detto precedentemente, una grande massa permette una maggiore attività nucleare). Stelle più grandi, e dunque più calde, tenderanno ad assumere tonalità bianche o azzurre. A temperature meno elevate corrispondono invece colori che vanno dal giallo all’arancione, al rosso. Temperatura e dimensioni determinano inoltre la magnitudine della stella, ovvero la sua brillantezza. Esistono due tipi di magnitudine: quella relativa, che rappresenta la brillantezza apparente valutata dalla Terra e parte da numeri negativi (alta) per aumentare gradatamente (chi ha un occhio di falco può scorgere astri con magnitudine fino a 7); quella assoluta, che è la brillantezza che una stella avrebbe se venisse posta a una distanza predefinita (1 parsec, 3,26 anni luce). Anche in questo caso numeri piccoli indicano elevata luminosità.
Per quanto è stato detto riguardo all’evoluzione di una stella, non sorprenderà inoltre il fatto che allo spettroscopio (strumento che scompone la luce emessa dall’astro nelle varie lunghezze d’onda contenute) questi corpi celesti rivelano diversa costituzione (idrogeno, elio, carbonio, ossigeno…). Si vengono così a definire alcune “classi spettrografiche”, indicate con le lettere O-B-A-F-G-K-M. Se creiamo un diagramma in cui sull’asse x compare la classe spettroscopica e sull’asse y la magnitudine assoluta (ovvero la brillantezza reale della stella) otteniamo un comodo espediente per poter rappresentare tutte le tipologie di stelle presenti nell’universo. Ognuna di esse avrà una sua posizione all’interno di questo grafico, chiamato diagramma di Hertzsprung-Russel: noteremo che gran parte di esse si addenserà in una fascia (chiamata sequenza principale) che raggruppa tutti quegli astri che stanno attraversando la lunghissima fase di stabilità dovuta alla fusione dell’idrogeno di cui si parlava prima. Sul diagramma H-R è possibile anche rappresentare le fasi cruciali di vita di una stella “ordinaria” come il Sole. Dalla fase bianco-gialla “calda”, che si trova in alto a sinistra, l’astro “scende” lungo la sequenza principale assumendo tonalità tendenti all’arancio, per poi “saltare” alle fasi di gigante rossa e nana bianca.

diagramma di Hertzsprung-Russel

Il diagramma di Hertzsprung-Russel mette in relazione la temperatura (riportata in ascissa) con la luminosità (riportata in ordinata) delle stelle. In questo modo è possibile posizionare su un grafico tutte le stelle conosciute suddividendole per colore, temperatura, classe spettrale e dimensioni. Si noti che la maggior parte degli astri è disposto lungo un’immaginaria linea, chiamata Sequenza principale, che taglia il grafico da parte a parte e che rappresenta lo stato di equilibrio idrostatico, in cui la pressione termica, che tenderebbe a far esplodere la stella, controbilancia la forza di gravità. L’affollamento lungo la sequenza principale è giustificata dal fatto che la fase di equilibrio idrostatico è la fase della vita più lunga di una stella. Se dovessimo ridisegnare questo grafico tra un miliardo di anni troveremmo alcune stelle (non il nostro Sole) uscite dalla sequenza principale, altre ormai esplose, mentre nuovi astri si affaccerebbero nel tracciato. Per quanto riguarda le dimensioni, nel tracciato sono dovuto ricorrere ad alcuni “aggiustamenti”… si pensi infatti che le più grandi stelle conosciute hanno un diametro che supera di 1500 volte quello del Sole!

 

Confronto tra il Sole e una delle più grandi stelle conosciute

Analisi del Sole. Osservando il diagramma H-R notiamo che il nostro Sole è in una fase intermedia della sua vita, appartiene alla classe spettrografica G ed ha una bassa magnitudine assoluta, circa 3.
Come tutte le altre stelle, il Sole presenta una struttura a involucri concentrici. Il suo diametro è di circa 1,3 milioni di chilometri, e dunque si può dedurre che il suo volume è più di un milione di volte di quello terrestre. Eppure la sua massa è solamente 333 mila volte quella del nostro pianeta. Questo significa che la densità del Sole non è elevata: un ipotetico astronauta, atterrando su di esso, sprofonderebbe, e non solo perché a causa della gravità peserebbe 2 tonnellate, ma anche per la scarsa consistenza (densità) della superficie. Quest’ultima è chiamata fotosfera, ha una temperatura di circa 5500 gradi e su di essa compaiono con un ciclo di 11 anni le famose macchie solari, zone meno calde che sono ritenute capaci di influenzare il clima terrestre. Sulla superficie si manifestano inoltre le protuberanze, filamenti di gas incandescente (20-25 mila gradi) che si innalzano nella cromosfera, ed i brillamenti, vere e proprie scariche elettriche associate alla liberazione di enormi quantità di energia. Durante le eclissi è possibile osservare facilmente, oltre alla corona solare e alle protuberanze, la cromosfera, in cui si misurano temperature estremamente elevate. La zona in cui avvengono le reazioni nucleari è il nucleo, del diametro di soli 150 mila km, dove la temperatura è di circa 15 milioni di gradi e la pressione di circa 200 miliardi di atmosfere.
Il Sole dista circa 150 milioni di km dalla Terra (misura assunta come unità astronomica indicata con la sigla U.I.) e l’inclinazione dell’asse terrestre rispetto al piano dell’orbita intorno alla stella determina l’alternarsi delle stagioni.
Unità di misura in astronomia. A parte le già citate unità di misura, l’unità astronomica e il parsec, fondamentale in astronomia è l’anno luce, ovvero la distanza coperta dalla luce in un anno alla velocità di 299.998 km/sec. Tale misura risulta essere di oltre 9400 miliardi di chilometri.
Considerato il fatto che la distanza delle stelle è valutabile in decine, centinaia o addirittura migliaia di anni luce, è facile dedurre che l’immagine delle stelle che vediamo dalla Terra non rappresenta il loro stato attuale. Se per esempio un corpo celeste dista mille anni luce dal nostro pianeta, oggi possiamo vedere l’aspetto dell’astro così com’era mille anni fa. Dovremmo attendere mille anni prima che i raggi di luce che stanno partendo da esso ci permettano di vedere quello che sta succedendo ora. Ma le implicazioni di queste enormi distanze non finiscono qui. Supponiamo di poterci materializzare istantaneamente, con la sola forza del pensiero, su di un pianeta distante un milione di anni luce dalla Terra. Supponiamo inoltre di possedere un telescopio potentissimo, che ci permetta di addentrarci agevolmente nelle profondità del cosmo, regolando l’ingrandimento a nostro piacimento. Puntiamo il telescopio verso la Terra: vedremo un pianeta di un milione di anni più giovane, su cui si aggirano i progenitori dell’uomo moderno tra forme animali e vegetali sconosciute. Supponiamo ora di cominciare a muoverci a grande velocità verso la Terra, “andando incontro” ai raggi di luce provenienti da essa. Come in un filmato accelerato, avremmo la possibilità di assistere all’ultimo milione di anni della storia terrestre. Dalle grandi glaciazioni alla diffusione dell’homo sapiens, dai fasti delle antiche civiltà all’espansione dell’impero romano, dal periodo comunale alle guerre mondiali, tutto scorrerebbe magicamente sotto i nostri occhi, nonostante i protagonisti di quegli eventi siano scomparsi ormai da tempo! Nel cosmo il concetto di “adesso” è davvero relativo!
Stelle doppie, triple, multiple… La moderna osservazione scientifica ha permesso di constatare che gran parte delle stelle hanno una o più “compagne”. Si vengono così a creare sistemi stellari binari, tripli, multipli, nei quali i singoli componenti ruotano attorno ad un baricentro comune. Forse nemmeno il Sole è una stella solitaria. Secondo alcuni astronomi (pochi, per la verità) anch’esso ha una compagna, quasi invisibile, una nana bruna che ruota a grande distanza e che è stata battezzata Nemesis. Ma nel cosmo esistono esempi ben più eclatanti. È il caso di Beta Lyrae, un sistema di due stelle facenti parte della costellazione della Lira. Esse, come si vede nella ricostruzione sottostante, sono talmente vicine da provocare un reciproco effetto deformante. Un getto di materia infuocata, sottratto dalla stella più piccola per le enormi forze gravitazionali in gioco, si disperde nello spazio creando un fantasmagorico vortice cosmico del diametro di decine di milioni di chilometri. Questi e altri sistemi non sono frutto della fantasia; gli eventuali futuri esploratori del cosmo potranno godere spettacoli di ineguagliabile bellezza: albe e tramonti contemporanei, giorni di luce multicolore, suggestive eclissi, ombre multiformi…

Uno spettacolo decisamente fuori dal comune, almeno per noi terrestri: eclissi di stelle in un sistema binario. (Fonte: https://www.eso.org)

Sistema doppio nella costellazione dell’Ofiuco. (Fonte: https://www.astroart.org/)


Le stelle variabili.
Esistono stelle che presentano una variazione periodica nella loro luminosità. Se per alcune di esse le variazioni di luminosità si spiegano con il parziale occultamento dell’astro da parte di altri corpi celesti, in alcuni casi, come quello delle Cefeidi, le variazioni di dimensioni e luminosità ad intervalli costanti sono intrinseche, ovvero dipendono da fattori endogeni, che indicano generalmente una situazione di instabilità nei processi di fusione nucleare nel nucleo.
Decisamente interessante sarebbe la ricostruzione delle condizioni ambientali di un pianeta che si trovasse ad orbitare attorno ad una siffatta stella. Esso si troverebbe a passare da condizioni di luce e calore molto intensi ad un freddo crepuscolo rischiarato da una vivida palla rossastra. Un organismo che si trovasse a sopravvivere in tali condizioni dovrebbe essere dotato di eccezionali doti di adattamento.
Qui ho approfondito l’argomento delle stelle variabili.

2 Risposte

  1. Pippo ha detto:

    Ottima sintesi

  2. Francesco Di Lorenzo ha detto:

    Leggere e cercare di immaginare e capire rischia di smarrire la ragione

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