Marco Bonatti, ciclista atipico
La presentazione scritta dal DS Carlo
La carriera ciclistica di Marco Bonatti inizia nei giovanissimi, a 10 anni, con il Gruppo sportivo Alto Adige. Una decina di corse in tutto, dividendo la bici con il fratello, registrando sella e cambio prima per uno e poi per l’altro, che correva subito dopo. Corse che portava a termine senza mai impegnarsi seriamente, tranne una sola volta in cui, rimasto in coda con un ciccione, si è impegnato al massimo per batterlo in volata. Il ciclismo non gli piaceva proprio. Negli anni successivi gioca a calcio, poi, verso i 17 anni, ritorna a fare dei giri in bicicletta sportiva. A 21 anni compra la prima bici da corsa, una Rossin. A questo punto il D.S. Bonatti Carlo lo incita a misurarsi in gare amatoriali (cronoscalate). Subito buoni i risultati con qualche terzo e quarto posto in gare F.C.I. D’inverno continua con il ciclocross con ottimi risultati: terzo al campionato regionale a Trento e altri buoni piazzamenti nei primi dieci in gare nel Triveneto. Partecipa anche a tre edizioni della Maratona delle Dolomiti, due campionati del mondo della montagna (Trento-Bondone) e a due Mondialito su strada. Nel ’94 torna a correre su strada il fratello Christian. E Marco ci prova. Una novità per lui misurarsi in gare di gruppo, dove non c’è la salita a fare la selezione, e si vola oltre i 50 all’ora! Ci vuole un po’ per migliorare la posizione in bicicletta, per abituarsi al gruppone e ai continui scatti. Non gli manca però il coraggio, cosa che gli consente di misurarsi anche con i dilettanti, in quattro gare a loro riservate, finendone tre e piazzandosi 22esimo in una con arrivo in salita. Chiusa la parentesi dilettantistica, continuano ultimamente nuovi miglioramenti. Prova ora con assiduità le volate, anche di gruppo, con convinzione e coraggio. Promuove fughe, con il suo migliorato scatto. Perdendo giocoforza qualcosa in salita. Ora è sicuramente fra i 10 migliori corridori di categoria nell’ambito regionale. Nel giugno 2000 arriva la prima sospirata vittoria, poi una serie di risultati altalenanti. Ma la strada è ancora lunga…
Dal diario segreto di Marco Bonatti: La mia avventura più bella!
Metti insieme un noiosissimo pomeriggio in ufficio, una bici, la neve che cade e una voglia matta di pedalare… ed ecco servita una bellissima avventura! E chi meglio di un “matto D.O.C.” come Marco Bonatti poteva amalgamare a dovere tutti gli ingredienti?
Sono le 14.30 di venerdì 27 gennaio 2006. A Bolzano la neve cade debolmente, ma giungono notizie di nevicate ben più consistenti verso sud. A Trento, 50 km di distanza, è in atto una vera e propria bufera con mezzo metro di neve e basta una discreta conoscenza del clima altoatesino per dedurre che, come spesso accade, poco fuori da questa (meteorologicamente) sfortunata città la neve la sta facendo da padrona. La decisione va presa subito, prima che la brevità del dì renda vana qualsiasi iniziativa. Non ci sono dubbi: per chi ama la neve, è un’occasione da non perdere, si va!
L’entusiasmo sale alle stelle e in pochi minuti l’ufficio è già un ricordo. Mi trovo ad abbandonare la città con una considerazione: sta nevicando, la temperatura è di quattro gradi sotto lo zero, sono in tenuta “da impiegato”, zainetto sulle spalle e scarpe da ginnastica, con una giacca a vento come unica protezione. Per molti questo potrebbe bastare per considerare l’iniziativa al di fuori delle proprie possibilità. Per un matto, invece, è un’altro motivo per lanciarsi a capofitto, sarà tutto ancora più bello!
Bastano un paio di chilometri verso sud sulla ciclabile che corre lungo l’Adige per rendersi conto che la scelta è stata più che felice. La nevicata si fa subito più consistente e lo strato di neve a terra comincia a essere apprezzabile. Pedalo in scioltezza, i fiocchi mi riempiono la faccia, ma fatica e freddo sono parole che per un po’ non avranno significato.
Un unico pensiero: dove potrò arrivare? Sono quasi le 15, prima delle 16.30 inizierà a far buio, è necessario programmare al meglio il percorso. Cerco di stroncare sul nascere progetti troppo fuori di testa: pedalare a oltranza, e quando fa buio farmi venire a prendere da qualche familiare fin troppo comprensivo oppure tirare dritto verso Trento e sperare poi in qualche treno che mi riporti verso casa. Devo inevitabilmente scendere a compromessi: decido di arrivare perlomeno a Ora (20 km circa da Bolzano), poi si vedrà. Nel frattempo sono a Vadena, i primi dieci chilometri sono coperti. Supero il paese e improvvisamente la neve aumenta. La campagna è imbiancata da una decina di centimetri di neve e viene giù fitta! Ci vorrebbero i cannoni per fermarmi, ormai! Mi esalto un po’, mi vengono in mente imprese epiche come il Bondone di Gaul o il Giro del Gavia, ma non bestemmiamo, quelli sì che sono uomini con le contropalle!
I chilometri successivi volano, tra idee e considerazioni un po’ strampalate, ma dannatamente vere. La mia giovinezza, mi dico, è stata quanto di meglio potessi desiderare. La più grande ambizione di ogni buon ventenne che si rispetti era, ed è tutt’oggi, ricalcare stereotipi idioti costituiti da una serie di gesti, atteggiamenti, modi di vestire e di comportarsi. C’è una strana e disperata ricerca di apparire per forza diversi dal resto del mondo, cosa che non fa altro, a conti fatti, che rendere tutti uguali. Non so in virtù di quale dono, ma io a tutto questo mi sono sempre sottratto. Come, lo so: grazie allo sport. Se oggi sono lì, sotto la neve, indifferente a freddo e fatica a urlare la mia gioia come un bambino, lo devo a quella giovinezza straordinaria. Mi trovo addirittura a improvvisare la radiocronaca di una tappa del Giro d’Italia in cui io sono, ovviamente, l’indimenticabile Marco Pantani e sono in fuga. Mi volto e non vedo nessuno. E’ ancora lunga, ma so che vincerò. E allora spingo ancora più forte.
Che strano: allora soffrivo per questa mia diversità, che scontavo con pochi amici e nessuna compagnia femminile. Oggi, invece, vedo molti miei coscritti ormai fisicamente rovinati, con chiappe flosce e la bocca piena di frasi del tipo “io sono ancora sportivo, vado a correre quasi tutte le domeniche”. Direi che m’è andata più che bene
In un baleno sono a Ora. Le poche persone che incrocio mi guardano come un matto, e non posso dar loro torto. Devo apparire alquanto strano in vestiti “borghesi”, completamente fradicio e imbiancato dalla neve, con uno zaino da scolaretto sulle spalle! Si chiederanno dove stia andando conciato così! Il pensiero di tornare a casa non mi sfiora nemmeno. “A sud, a sud!” continua a ripetere una voce nella mia testa. Ma sì, vado fino a Termeno! Questo significa quasi 15 chilometri supplementari tra andata e ritorno su di una strada ormai innevata e in condizioni climatiche che, anche con un abbigliamento adeguato, non sarebbe esagerato definire difficili.
Fortuna che i pneumatici chiodati svolgono egregiamente il proprio lavoro. Con le gomme normali adesso sarei a bordo strada, a cercare un modo per tornare a casa!
Sulla breve rampa che porta alla piccola località di Termeno mi rendo conto che il rientro, prevalentemente in salita, non sarà uno scherzo. Gli abiti inzuppati e la bicicletta stracarica di neve ghiacciata mi appesantiscono di diversi chili. Una certa stanchezza comincia inevitabilmente a farsi sentire: ma senza fatica che gusto ci sarebbe?
Il paesaggio adesso è da favola: venticinque centimetri di neve candida coprono ogni cosa e viene giù ancora alla grande!
Dopo Termeno, lungo una breve discesa, supero un automobilista di traverso sulla strada, il cui fondo è ormai una poltiglia scivolosissima. Devo stare all’occhio!
Al lago di Caldaro inizia la salita. I prossimi tre chilometri mi porteranno a salire di 200 metri di quota. In condizioni normali si tratterebbe di una passeggiata o poco più. In questo caso è una sofferenza, o poco meno. Meglio così, il ricordo sarà ancora più bello. So già che dal giorno seguente questa avventura mi mancherà, e non poco, e la cosa mi fa gustare il momento fino in fondo.
Fortuna che la MTB ha la corona tripla, ora serve tutta! Al paese di Caldaro sembra ormai quasi fatta, ma anche i pochi chilometri di pianura che mi separano da Appiano non sono facili! A casa arrivo stanco, completamente fradicio, infreddolito, ma felice.
Senza falsa modestia faccio i complimenti a me stesso. Quaranta chilometri in quelle condizioni climatiche, senza indumenti adatti e con una bici non certo superleggera non sono da tutti, anzi: sono da pochi!
Un altro bel ricordo è aggiunto alla mia personalissima collezione.
Una doccia calda e subito una domanda: a quando la prossima? Già non sto nella pelle…
Inverno 2007-2008: un’altra pazzia!
“Questa volta l’ho fatta grossa!” -mi sono detto scendendo dalla Mendola, sotto la neve, completamente fradicio e in preda a una crisi di freddo mai patita prima. Ho vissuto uno di quei momenti in cui il panico rischia di avere la meglio: ma che cosa avrei potuto fare se avessi ceduto? Non ne ho idea: una soluzione sarebbe stata quella di fermare qualcuno, implorando di farmi entrare in macchina per recuperare un minimo di lucidità. O forse avrei dovuto faticosamente tornare al passo, (dopotutto avevo percorso un solo km di discesa), rintanandomi in un ristorante… ma in attesa di cosa? La strada stava rapidamente diventando impraticabile! Alla fine ho fatto ricorso a un vecchio trucco imparato, sempre sulla Mendola, almeno una ventina di anni prima: sceso dalla bici ho iniziato a correre e in breve il tremore si è calmato.
Dieci minuti dopo ero di nuovo sui pedali e, nonostante la nevicata si fosse fatta ancora più abbondante, sono riuscito in qualche modo a rientrare a casa.
E’ andata bene, ma questa volta ho rischiato qualcosa di troppo!
Un nuovo modo di vivere il ciclismo!
Dal 2005, abbandonata l’attività agonistica per vari motivi, ho trovato un nuovo modo per tenere a bada la mia insaziabile voglia di muovermi: mi sono trasferito ad Appiano, un paesino in collina a una decina di km da Bolzano, e da lì raggiungo in bici ogni giorno, con qualunque condizione meteo il posto di lavoro, a Bolzano. Dal ghiaccio alla neve, passando per i nubifragi estivi e arrivando sul filo dei 40 gradi di agosto, nulla riesce a scoraggiarmi; anche perché l’alternativa sarebbe diventare un pendolare motorizzato, un destino orripilante!
Ogni ritorno a casa, opportunamente studiato per allungare il più possibile il percorso, è l’occasione per una nuova, piccola avventura; molte di esse sono raccontate nel mio ormai fornitissimo CICLODIARIO, al quale rimando il lettore per approfondimenti.
E l’avventura continua…
A fine 2018 il rientro a Bolzano; quindici anni da ciclopendolare, vissuti sempre senza compromessi, non hanno fatto altro che rafforzare in me l’amore per la bici e la convinzione che essa rappresenta un mezzo insuperabile per ogni tipo di spostamento… basta solo sapersi arrangiare un po’! Certo ora le occasioni per pedalare non mi salteranno più in bocca come prima, ma una decina di migliaia di chilometri all’anno, di cui una buona parte in salita, non me li farò mancare