O Franza o Spagna, purché se magna!
La storia d’Italia, anche quella meno recente, ci insegna perché “noi italiani” (?) siamo così e perché ci sono poche speranze per la nostra patria (?). L’Italia è stata spesso (e lo è tutt’ora, purtroppo) la terra della discordia, del provincialismo e del conformismo. Un esempio lampante ci viene dai secoli rinascimentali, soprattutto nel periodo tra il 1494 e il 1559, che qui esamineremo e che viene chiamato “delle Guerre d’Italia” per gli otto conflitti combattuti prevalentemente sul suolo italiano, quando i signori locali (principi e duchi sostituitisi agli antichi istituti comunali), personaggi spesso rissosi e municipalistici, affiancavano ora uno straniero ora l’altro pur di conservare il proprio potere. Così facendo essi favorirono più o meno involontariamente il disegno dei papi, che era quello di evitare l’unità della penisola italiana per esercitare senza intoppi il loro potere temporale.
Fu lo scrittore, storico e politico toscano Francesco Guicciardini (1483-1540) a coniare il motto “o Franza o Spagna, purché se magna”, che descriveva perfettamente il pensiero dominante all’epoca nella penisola: opportunismo e municipalismo, senza considerazione per i destini italici. E diceva bene anche Voltaire, oltre tre secoli dopo, quando affermava che l’Italia è abituata “a far premio del vincitore”, nella speranza che esso fosse più clemente, generoso o semplicemente circuibile.
Il lungo periodo di dominazioni straniere successive al Rinascimento prese il via con una serie di guerre, la prima delle quali si svolse nel 1494. A Ludovico Sforza di Milano, detto “il Moro”, va attribuito il demerito di aver innescato il processo invocando l’aiuto di Carlo VIII, che progettava di riprendere il regno aragonese di Napoli dal quale gli Angiò erano stati scacciati proprio dagli Spagnoli nel 1441. Con la cacciata del re di Napoli Ferrante, Ludovico Sforza non avrebbe più dovuto preoccuparsi delle sue interferenze nella scalata al governo del ducato di Milano, in quel momento conteso con il nipote Gian Galeazzo Sforza (che morirà probabilmente avvelenato). Ma anche Venezia tramava contro il re aragonese che favoriva i porti pugliesi, suoi diretti concorrenti; e a Firenze erano gli avversari dei Medici a sostenere un’iniziativa francese, con la speranza che potesse portare a un cambiamento di regime politico. Infine, nello Stato pontificio i cardinali avversi al papa spagnolo Alessandro VI (papa Borgia) speravano che con la discesa di Carlo VIII si potesse eleggere al pontificato Giuliano della Rovere (il futuro Giulio II), che si preoccupò di sollecitare all’azione in prima persona il re francese.
Carlo VIII entrò come detto in Italia nel 1494, scatenando un vero e proprio terremoto politico; fu accolto con riverenza o neutralità (per esempio a Firenze da Piero de Medici, che dovette però poi fuggire anche a causa delle infuocate prediche del Savonarola). L’imponente esercito francese marciò attraverso l’Italia e in cinque mesi, dal settembre 1494 al febbraio 1495, attraversò l’Italia lungo l’antica Via Francigena raggiungendo Napoli nel febbraio 1495; ma subito dopo gli italiani si mostrarono ancora una volta inclini al voltafaccia. La sua rapida avanzata si era infatti ripercossa sulla fragile politica italiana del tempo: a Milano Ludovico il Moro aveva ereditato il Ducato dal nipote Gian Galeazzo, vincendo le pretese dinastiche avanzate dagli aragonesi; a Firenze i Medici erano come detto stati cacciati dalla città, e proclamata la Repubblica; a Napoli il ceto baronale, per tradizione filofrancese e ostile alla monarchia, aveva accolto trionfalmente il sovrano (Ferrante era morto alcuni mesi prima e il figlio Alfonso II era in fuga), mentre Venezia si impadroniva di alcuni porti pugliesi. Tutti questi sconvolgimenti spaventarono le stesse forze che avevano favorito la calata di Carlo VIII: lo Stato pontificio, Milano e Venezia si coalizzarono formando una lega antifrancese che ottenne l’appoggio dell’imperatore del Sacro Romano Impero Massimiliano e della Spagna. Carlo VIII si vide costretto a risalire la penisola per evitare di restare isolato nell’Italia del sud. L’esercito della lega e quello del re francese si scontrarono nel luglio 1495 a Fornovo sul Taro, a una ventina di chilometri da Parma. Carlo VIII fu costretto a riparare in Francia, dove morì nel 1498 mentre progettava una seconda spedizione in Italia.
Tutto come prima, quindi? Nemmeno per sogno! La spedizione di Carlo VIII mise tragicamente a nudo ciò che il Manzoni, nei Promessi Sposi, aveva plasticamente rappresentato con l’episodio dei capponi di Renzo, povere bestie “le quali intanto s’ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura”. Così continuarono a essere gli abitanti della penisola italiana: rissosi e divisi. E infatti un ritorno alle condizioni politiche precedenti la discesa di Carlo VIII non fu più possibile, piuttosto si aprì un lungo periodo durante il quale la penisola italiana fu preda delle mire espansionistiche della Francia, del Sacro Romano Impero e della Spagna.
Poco dopo la battaglia di Fornovo, infatti, Ludovico il Moro, temendo la posizione di forza acquistata dalla Serenissima, sottoscrisse prima una pace separata a Vercelli (1495) con la Francia, poi ordì una nuova alleanza (simile a quella con Carlo VIII) con l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo (1496) e infine un’alleanza segreta coi Turchi (1499), che con i denari milanesi invasero il Friuli.
Anche il successore di Carlo VIII, il figlio Luigi XII, covava gli stessi appetiti territoriali e scese in Italia conquistando il Ducato di Milano e spodestando Ludovico il Moro: con l’arrivo dei francesi il capoluogo lombardo rimarrà sotto il dominio straniero quasi ininterrottamente per 360 anni! Meno successo ebbe l’avventura francese nel Regno di Napoli (re in quel momento era Federico I, fratello di Alfonso II), che fu mantenuto per nemmeno tre anni (1501-1503) e che rimarrà poi per altri due secoli sotto la sfera di influenza spagnola. Anche in occasione della discesa di Luigi XII gli stati italiani dimostrarono le loro divisioni: il re francese fu appoggiato per convenienze politiche sia da Venezia che da papa Borgia Alessandro VI.
Ma non era certo finita: del 1508 è la Lega di Cambrai, che vide l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo, Luigi XII di Francia, Ferdinando II d’Aragona (re di Napoli e di Sicilia), papa Giulio II, Alfonso I d’Este (duca di Ferrara), Carlo II (duca di Savoia), Francesco II Gonzaga (marchese di Mantova) e Ladislao II (re d’Ungheria) schierati contro lo strapotere di Venezia in Italia, capace addirittura di prevalere in un conflitto con l’imperatore. La Spagna infatti rivendicava la Puglia, mentre la Francia puntava alla la città di Cremona e il papa alle terre romagnole. I francesi furono così nuovamente nella penisola, ma un nuovo voltafaccia di papa Giulio II, che costituì la Lega Santa (1511-1513, anno della morte del papa) con Inghilterra, Venezia, gli svizzeri e la Spagna, li costrinse ad abbandonare la Lombardia con il Ducato di Milano che passò a Massimiliano Sforza, figlio di Ludovico il Moro. Anche Firenze venne occupata dalle truppe spagnole che ristabilirono i Medici al potere.
Da questo valzer di predomini stranieri, nonostante la sconfitta contro la lega di Cambrai, riuscì a sottrarsi (e lo farà fino all’arrivo di Napoleone) la Repubblica di Venezia, unica entità territoriale in grado, anche in virtù delle disgrazie altrui, di mantenere la propria indipendenza. Discorso analogo si può fare per il Ducato di Savoia, che però ha radici francesi.
Nel 1515, anno della morte di Luigi XII, salì al trono Francesco I di Francia che, dopo essersi alleato con Venezia, che non aveva dimenticato l’umiliante sconfitta, inviò l’esercito francese oltre le Alpi e sconfisse le truppe svizzere (che controllavano Milano) a Marignano (l’odierna Melegnano) durante la cosiddetta “battaglia dei giganti”.
In seguito a questo successo i francesi ritornarono in possesso del Ducato di Milano e con la pace di Noyon del 1516 stipularono una serie di trattati che, nell’intenzione dei contraenti, avrebbero dovuto porre fine alle guerre tra potenze europee in territorio italiano e assicurare un periodo di stabilità ed equilibrio. Alla Spagna vennero riconosciuti il Regno di Napoli, la Sicilia e la Sardegna, mentre alla Francia tornò, come detto, Milano. Papa in quel periodo è Leone X, meno bellicoso di Giulio II ma incapace di ristabilire ordine ed equilibrio tra i vari stati italiani.
Anche i trattati stipulati a Noyon nel 1516 divennero ben presto carta straccia soprattutto per l’ascesa al trono imperiale di Carlo V d’Asburgo, che si trovò a governare un impero immenso, dalla Spagna ai Paesi Bassi, dalla Sicilia a Napoli e Sardegna compresi ovviamente Germania e Austria oltre ai possedimenti extraeuropei spagnoli. Una tale concentrazione di potere nelle mani di un solo sovrano fu la principale ragione che portò alla rottura dell’equilibrio, dato che Francesco I di Francia si trovava praticamente circondato da territori occupati dalla dinastia d’Asburgo, che oltretutto avanzava pretese dinastiche sulla Borgogna. Fu ancora una volta l’Italia a rappresentare il terreno di confronto tra le grandi potenze; infatti la Lombardia francese impediva la continuità territoriale dei domini asburgici che dal nord Europa scendevano raggiungevano il Meridione italiano.
È l’occupazione spagnola della Navarra nel 1519, un piccolo regno transpirenaico detenuto da una dinastia d’origine francese, che spinge nel 1521 Francesco I a scendere nuovamente in Italia per togliere almeno il Regno di Napoli ai domini di Carlo V; fu l’inizio di una lunga guerra che, alternata a tregue precarie, durò per tutta la sua vita. Dopo una serie di sconfitte lo stesso Francesco venne preso prigioniero (1525) dalle truppe di Carlo nella battaglia di Pavia (sua la famosa frase “tutto è perduto fuorché l’onore”) e dopo un periodo in Italia venne trasferito a Madrid, dove, dopo un anno e con un trattato molto oneroso, si vide costretto (1526) a cedere Milano e la Borgogna e a lasciare i due figli in Spagna come ostaggi.
Francesco I venne presto meno ai suoi impegni e aderì alla lega di Cognac (1526-1529), con la quale papa Clemente VII, la Repubblica di Venezia, quella di Firenze e altri stati italiani si ripromettevano di limitare lo strapotere di Carlo V. A questo periodo risale il famoso “sacco di Roma” (1527) operato dai temibili Lanzichenecchi che una volta perso il loro comandante, il generale Georg von Frundsberg, aggirarono il presidio delle truppe della Lega nell’Italia del nord e si riversarono verso lo Stato pontificio, mettendo Roma a ferro e fuoco; nemmeno Carlo V, che li aveva inviati, si aspettava una tale ferocia. Nonostante la disfatta, il papa ottenne dall’imperatore il restauro del dominio dei Medici a Firenze. Guerre e guerricciole si trascinarono a lungo, con l’esercito francese che sotto la guida del generale Lautrec riuscì a occupare per breve tempo la Lombardia, ma l’avanzata dei Turchi giunti fino in Ungheria e ormai prossimi a penetrare nel centro Europa costrinsero Carlo V a firmare un accordo con i francesi. A Cambrai il 5 agosto 1529 venne così sancita la “pace delle due dame” (Luisa di Savoia, madre di Francesco I e Margherita d’Austria, zia di Carlo V) stabilendo che la Francia, pur rinunciando alle pretese sull’Italia, potesse rientrare in possesso della Borgogna. Con questo patto la Spagna ribadì definitivamente il suo dominio sull’Italia, delle cui sorti Carlo V divenne unico e incontrastato arbitro.
La tregua (c’era da scommetterlo) durò solo alcuni anni, poi l’ennesimo motivo di contrasto tra Carlo V e Francesco I fu la morte nel 1535 dell’ultimo Sforza (Francesco II Sforza), che come già detto erano stati restaurati quali duchi di Milano. L’imperatore Carlo V avocò a sé il ducato, investendone il proprio erede (il futuro Filippo II di Spagna). Nel frattempo Francesco I aveva stabilito relazioni diplomatiche e alleanze con il sultano turco Solimano I il Magnifico (le cui truppe erano giunte ad assediare Vienna) e con i principi luterani in Germania che con le loro brame di potere minacciavano l’integrità dell’impero. Inizia così la sesta guerra d’Italia (1536-1538), terza di quelle che coinvolse Carlo V e Francesco I di Francia, con quest’ultimo (alleato con Enrico VIII d’Inghilterra) che reagendo all’occupazione del milanese invase buona parte del Piemonte sabaudo, senza però riconquistare la Lombardia. La Tregua di Nizza (1538), promossa dal nuovo papa Paolo III nell’ottica di una riunificazione delle forze cristiane contro i Turchi, mise termine alle ostilità lasciando ai francesi la parte del Piemonte che avevano occupato, ma trattandosi di una tregua ovviamente non durò.
Questi conflitti continuarono ovviamente a riflettersi anche in Italia, per esempio a Siena che, destreggiatasi abilmente per secoli, fu occupata dall’esercito spagnolo (1540); esso si rivelò però esoso e molesto, a tal punto da spingere i senesi a chiedere l’aiuto francese. Gli spagnoli, per ripicca, ricorsero all’aiuto della città tradizionalmente nemica di Siena, Firenze, costringendo nel 1555 la città del Palio alla resa dopo la battaglia di Scannagallo.
Nel 1542 Francesco I tornò a tramare con il sultano ottomano Solimano I e riprese le ostilità, lanciando una flotta franco-ottomana contro la città savoiarda di Nizza (Assedio di Nizza, 1543). Nel frattempo le truppe francesi sbaragliarono quelle imperiali nella Battaglia di Ceresole, ma non riuscirono a penetrare ulteriormente in Lombardia. Carlo V rispose a queste azioni alleandosi al re Enrico VIII d’Inghilterra e invadendo la Francia da nord (1544). Il resto della guerra si svolse quindi nei Paesi Bassi e nelle province orientali della Francia, ma non riuscì a risolversi in modo definitivo. La mancanza di coordinamento tra le truppe inglesi e quelle ispanico-imperiali e il deterioramento della situazione nel Mediterraneo, con l’avanzata dei Turchi, portarono Carlo V a chiedere la cessazione delle ostilità. Nel 1544 i contendenti firmarono quindi la pace di Crépy che, pur assegnando definitivamente la Lombardia agli Asburgo e i territori dei Savoia alla Francia, lasciò per l’ennesima volta insolute le principali questioni e aperta quindi l’eventualità di nuove guerre.
Nel 1547 morì Francesco I, che fu sostituito nelle sue mire antimperialistiche dal figlio Enrico II. Nel 1551 egli riprese infatti le ostilità contro la Casa d’Austria e Spagna spostando però il perno della guerra verso i confini nord orientali della Francia, pur restando l’Italia teatro di importanti manovre. Allo stesso modo del padre, anche il (formalmente) devoto al papa Enrico non si fece problemi nell’intessere legami con i Turchi e i principi protestanti tedeschi per ottenere vantaggi militari. Massacri e guerre proseguirono a lungo: nel 1552 Enrico II invase la Lorena e parte della Mosella. Carlo V, impegnato dal 1546 anche nello scontro a sfondo anche religioso con i principi luterani tedeschi, fu costretto a scendere a patti dirimendo la questione con questi ultimi con la pace di Augusta del 1555 e con Enrico II grazie alla tregua di Vaucelles nel 1556.
Nello stesso 1556 l’imperatore decise di abbandonare la scena politica e militare europea lasciando i domini di Spagna, Italia, Paesi Bassi e territori extraeuropei al figlio Filippo II e a suo fratello Ferdinando I il Sacro Romano Impero e il titolo di imperatore.
Non per questo il conflitto si fermò, ma proseguì tra Enrico II, alleato con il nuovo papa Paolo IV, e Filippo II di Spagna. Emanuele Filiberto di Savoia, al comando delle truppe spagnole, vinse definitivamente i francesi nella battaglia di San Quintino nel 1557. Gli enormi costi della guerra, acuiti dalle bancarotte subite dai due stati in quegli anni, costrinsero i contendenti a firmare una pace più duratura delle precedenti. Nonostante la sconfitta, nella Pace di Cateau-Cambresis (1559) i francesi riuscirono a mantenere parte della Lorena, Saluzzo in Piemonte (ma la Savoia e il Piemonte furono restituiti al Duca Emanuele Filiberto) e recuperare Calais tolta agli inglesi entrati brevemente nel conflitto, ma abbandonarono al suo destino l’aristocrazia senese rifugiatasi a Montalcino dopo la guerra con Firenze, di cui si era parlato precedentemente. La repubblica di Siena fu smembrata tra il Ducato di Firenze (che fu poi rinominato Granducato di Toscana) e la corona di Napoli (sottoposta alla Spagna) cui andò anche lo Stato dei Presidi (Argentario, Orbetello, Talamone, Ansedonia e parte dell’Elba). Finalmente, con la pace di Cateau Cambresis, si chiude un periodo di oltre sessant’anni di guerre ininterrotte per il dominio su Italia ed Europa e si rafforza il predominio spagnolo nella penisola che durerà per oltre un secolo e mezzo. Solo Venezia può essere considerata a questo punto completamente al di fuori del controllo spagnolo, pur se in lenta ma inesorabile decadenza; la Savoia, Genova e il Papato passano dall’influenza di Spagna o Francia a seconda dei periodi; tutti gli altri stati italiani ne sono (politicamente e/o finanziariamente) succubi.
Abbiamo senza dubbio assistito, nel periodo preso in esame, a un collasso politico, economico e sociale italiano; ciononostante va sottolineato che sul piano culturale la penisola continuò a sfornare geni in campo filosofico (Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Paolo Sarpi), scientifico (Galileo Galilei, Evangelista Torricelli) e artistico (Caravaggio, Bernini e molti altri).
Considerazioni finali…
È opinione di alcuni che al giorno d’oggi, a causa di una classe politica inetta posta sotto il controllo della finanza e di un popolo disinformato, confuso e rancoroso, sia ripresa la spoliazione dell’Italia da parte delle nazioni che un tempo, con altri metodi, spadroneggiavano nel Bel Paese.
Non posso che condividere questo modo di pensare. Che tristezza!