Perduti nel tempo
Grazie ai progressi conseguiti dalla ricerca scientifica, oggi possiamo ricostruire con buona approssimazione l’aspetto del nostro pianeta nelle passate ere geologiche. Abbastanza perché il racconto di un viaggio nel tempo non debba limitarsi a scenari frutto della sola fantasia…
“Comandante, il viaggio nel tempo è terminato. Tra pochi secondi il computer fornirà un resoconto completo della situazione” -Hawking scandì il suo rapporto con tono grave, per lui del tutto inconsueto.
In effetti, James Hawking, addetto al calcolatore del primo vascello temporale costruito dall’uomo, non era certo quello che si dice un tipo impressionabile. I suoi viaggi nell’atmosfera di metano di Giove, nell’ormai lontano 2134, e la terribile esperienza tra gli anelli ghiacciati di Urano sembravano averlo preparato a qualsiasi esperienza. Ma dinnanzi all’emozione di un viaggio nel tempo anche la sua proverbiale freddezza sembrava essere venuta meno.
“Rapporto!” -ordinò con la solita flemma il comandante John Typler, senza lasciare trasparire l’ansia che lo accomunava al resto dell’equipaggio.
“Trasferimento temporale eseguito con successo!” -esplose Hawking, meritandosi un’occhiataccia del comandante.
“Tutto è andato secondo i piani” -proseguì, sforzandosi di riacquistare il controllo. “Ci troviamo nel periodo Oligocene, l’ultimo dell’era Cenozoica1, cinque milioni di anni prima dell’era moderna. Anche la località è quella prevista: siamo sulla cima del Monte Baldo, in prossimità del Lago di Garda, nel nord-est della penisola italiana.”
“Paul” -riprese Typler- “cosa dicono i sensori esterni?”
“Hanno terminato i rilevamenti in questo momento” -rispose Paul Morrow, il vicecomandante. “Non vengono segnalate criticità.”
“Procediamo, allora. Rimuovere le paratie stagne!”
Un leggero ronzio accompagnò il sollevamento delle pesanti coperture metalliche poste a protezione della navetta. Gli sguardi di tutti si rivolsero verso lo spiraglio di luce che si andava allargando. Tra pochi secondi sul mondo oligocenico si sarebbe posato il primo sguardo umano.
Dopo decenni di studi e tentativi falliti, l’umanità era finalmente riuscita a coronare uno dei suoi più grandi sogni: tornare nel passato per studiare dal vivo specie estinte, scoprire le origini della civiltà e, forse, tentare di correggere i gravi errori commessi dall’uomo nel corso della sua storia. Per quel primo viaggio nel tempo, un semplice esperimento in vista di missioni di più ampia portata, John Typler aveva reclutato un esercito di professionisti dotati di uno spirito di avventura e di una sete di conoscenza che superavano di gran lunga il timore di non poter fare ritorno a casa.
Il paesaggio si schiuse lentamente mentre la grande paratia lasciava spazio a una spettacolare vetrata. L’equipaggio si trovò dinnanzi ad un vero e proprio balcone panoramico, a picco sul lago. Il bacino gardesano era bellissimo, una perla di colore blu intenso circondato da boschi lussureggianti, non molto dissimile da quello che si sarebbe potuto ammirare esattamente cinque milioni di anni dopo.
C’era però stato un tempo, nel ventunesimo secolo, in cui l’ambiente benacense aveva rischiato di sparire insieme al resto della biosfera terrestre. Fortunatamente l’umanità era riuscita a ritrovare il senno prima che fosse troppo tardi.
Typler si concesse un attimo di rilassamento dinnanzi al cielo azzurro e al sole splendente che completavano l’ameno ambiente del lago… laggiù verso sud, però, qualcosa non quadrava… il lago di Garda non era un lago, era… un mare2!
“Le supposizioni dei geologi erano corrette” -esordì per nulla sorpreso Victor Davies, consulente scientifico della spedizione. “In questo periodo la pianura padana si trova sotto il livello del mare e il Mediterraneo giunge a bagnare le Prealpi venete e lombarde. Ma c’è di più…”- continuò. “Guardate a console: gli strumenti indicano che l’altitudine alla quale ci troviamo è di 2478 metri… duemilaquattrocento e rotti, capite? Trecento metri in più rispetto al Monte Baldo del nostro tempo! Dunque le teorie ultraglacialiste riscuotono ulteriore conforto: saranno i ghiacciai pleistocenici ad imprimere sui rilievi alpini, nei prossimi milioni di anni, l’aspetto per noi consueto”
Lo studioso aveva nel frattempo impartito a console una serie di comandi, e un attimo dopo due grandi ologrammi comparvero al centro della sala.
“Ecco, qui possiamo fare un confronto tra la morfologia attuale e quella del nostro tempo. Come vedete, il rilievo su cui siamo atterrati presenta asperità decisamente più pronunciate ed è privo delle grandi spianate caratteristiche del Baldo moderno, forme di erosione prodotte dal passaggio di ghiacciai di grandi dimensioni”
“Victor, ti ricordo” -lo interruppe Typler, resosi conto che l’entusiasmo stava prendendo il sopravvento nel professore- “che l’energia a nostra disposizione è limitata. Se vogliamo portare a termine tutte le rilevazioni è preferibile non scendere troppo nei dettagli e concentrarci sull’essenziale. Avremo modo di esaminare i dati una volta tornati nel nostro tempo”
La reazione del comandante non stupì Davies. I due erano legati da una salda amicizia, e lo scienziato sapeva benissimo che la più grande preoccupazione del collega era quella di riportare a casa tutti sani e salvi.
“Dunque attualmente il Garda è una specie di golfo marino nel cuore delle Prealpi” -continuò il professore, cercando l’attenzione di altri membri dell’equipaggio. “Peccato che non ci sia la possibilità di una ricognizione più approfondita!”.
“Le sonde che abbiamo lanciato stanno comunque raccogliendo una gran mole di informazioni” -lo rincuorò Sandra Benes, analista dei dati- “e dai primi dati si direbbe che il clima di questo periodo sia molto caldo e la superficie dei ghiacciai estremamente limitata. Inoltre la futura Pianura Padana risulta essere sede di una forte attività vulcanica3”
“La raccolta dei dati è terminata”-annunciò Paul.
“Bene” -sospirò Typler- “predisporre il computer per il salto temporale. Si torna a casa!”
“Stai tranquillo, John!” -sussurrò Davies, cercando di distogliere l’amico dai pensieri che lo assillavano. Sapeva bene che John non si era mai perdonato la morte di tre membri dell’equipaggio avvenuta nove anni prima, durante il primo sbarco su Eris, ai confini del sistema solare. In quella spedizione Davies, alla sua prima esperienza come consulente scientifico, aveva potuto apprezzare le doti di Typler, e tra i due si era rapidamente stabilito un rapporto di stima e fiducia. Le bassissime temperature di quella remota regione del sistema solare, poco sopra lo zero assoluto, avevano causato il guasto al sistema di guida e il conseguente schianto della navetta. Da allora Typler, nonostante la commissione d’inchiesta lo avesse assolto con formula piena, portava dentro di sé il senso di colpa.
“Sai bene Victor” -spiegò Typler- “che per me la missione sarà finita solo quando l’ultimo uomo avrà toccato terra, nel nostro tempo”
Victor annuì e comprese che non era il caso di argomentare oltre.
“Chiudere le paratie e attivare il motore temporale” -ordinò il comandante.
La spettacolare vista del mare oligocenico sparì gradualmente e l’illuminazione artificiale tornò a dare alla sala comandi la consueta atmosfera. Un leggero tremore confermò l’accensione dei motori: mancava solo il via definitivo.
“Hawking?” -Typler chiese la definitiva conferma del computer.
“Tutto pronto” -rispose l’informatico dopo aver consultato i dati proveniente dal calcolatore.
“Paul, dai il via!”
“No, un momento!” -urlò Davies, quando ormai Morrow aveva eseguito l’ordine.
“Che succede, Victor?” -chiese il comandante, mentre le luci dell’abitacolo si affievolivano per l’enorme quantità di energia richiesta dal trasferimento temporale.
“È in arrivo una scossa di terremoto, magnitudo 7 nella scala Richter!” -spiegò il professore. “Potrebbe interferire con il viaggio nel tempo!”
“E ormai non si può più interrompere il processo, maledizione!” -Typler sbiancò in volto.
“Paul, quanto manca all’attivazione?”
“Nove secondi” -rispose il vicecomandante- “…otto, sette, sei..”
La navetta prese a vibrare, poi le scosse si fecero più intense, costringendo tutti a trovare un appiglio- “…cinque, quattro, tre, due…”
L’astronave sobbalzò ancora.
“Trasferimento in corso!” -annunciò Morrow.
“Il computer segnala un malfunzionamento del motore temporale!” -la voce di Hawking si diffuse a fatica, coperta dal rumore dalle vibrazioni. “Non so se riusciremo…” -il resto gli morì in gola. Un nuovo e più forte scossone scaraventò tutti a terra. Il viaggio nel tempo si interruppe bruscamente e per un attimo nella sala comando calò l’oscurità assoluta.
In un equipaggio non preparato, un evento del genere avrebbe seminato il panico; ma Typler aveva scelto bene i suoi uomini. Nessuno perse la calma, e quando il sistema di emergenza riportò il solito turbinio di spie e display multicolori, tutti erano già al proprio posto.
“Helena, rapporto!” – urlò Typler nel comunicatore.
Per Helena Wheeler, primo ufficiale medico della missione, raccogliere notizie dopo un incidente era poco più di una normale operazione di routine. Gli rispose con voce calma e pacata, dopo aver velocemente passato in rassegna le informazioni che stavano giungendo dai vari reparti della navetta.
“Solo qualche contuso, John. Ma che cosa è successo?”
“Temo che il ritorno si stia rivelando più movimentato del previsto” -spiegò il comandante. “Ci troviamo… ” -la sua voce esitò dinnanzi al display temporale.
“John, allora?”
“A più tardi, Helena” – troncò bruscamente Typler.
“Che ne pensi, Victor?” -disse avvicinandosi all’amico. Come uomo di scienza, a Victor Davies quel display bloccato a 20.200 anni all’epoca moderna non poteva che infondere uno strano compiacimento. Sapeva bene che, a causa della ingentissima quantità di energia richiesta da ogni salto temporale, quella tappa intermedia non avrebbe probabilmente permesso una ulteriore accensione. Eppure il poter curiosare ancora una volta nel passato della Terra sopravanzava qualunque altra considerazione.
“Paul, alza le paratie” -esclamò il professore, talmente preso da impartire l’ordine al posto del comandante.
Paul interrogò con lo sguardo il comandante, che approvò con un cenno. Conosceva benissimo l’inesauribile sete di sapere dell’amico che, unita a una fervida intelligenza, gli aveva fruttato il Nobel della fisica solo due anni prima. Dopotutto, dare uno sguardo all’esterno era il modo migliore per fare il punto della situazione.
Durante la manovra di apertura delle paratie molti in sala comando si fecero cullare dalla speranza di incontrare il proprio mondo, raggiunto con un ultimo poderoso sforzo dei motori. Ma proprio per questo quanto si materializzò dietro le vetrate fu ancora più sconvolgente. Si vedeva un mare, anche questa volta… ma non d’acqua, un mare di ghiaccio, impressionante nella sua grandezza, di uno spessore tale da riempire per metà con il proprio candore il bacino gardesano.
Del lago non vi era nessuna traccia. Lo scenario era completato da una tempesta che scagliava ghiaccio e neve contro le vetrate della sala comandi.
“Victor…?” -Typler si appellò all’amico solo per un’autorevole conferma di ciò che temeva.
“Purtroppo il nostro viaggio nel tempo si è interrotto proprio nel bel mezzo dell’ultima glaciazione, quella würmiana”
“Comandante!” -lo interruppe Hawking. “Il computer segnala che la temperatura esterna è di diciannove gradi sotto lo zero: il motore temporale non può rimanere esposto per troppo tempo a queste condizioni!”
“Dirottare tutta l’energia dei circuiti secondari alla sala macchine.” -ordinò Typler. “Cerchiamo di mantenere il motore alla più alta temperatura possibile!”
“John, non c’è abbastanza energia per tornare nel nostro tempo” -spiegò Davies- “e purtroppo in queste condizioni nemmeno i pannelli solari possono nulla. Rischiamo di spegnerci lentamente, come una candela”
Typler soffocò dentro di sé l’immagine della fine che quelle parole gli prospettavano. Doveva fare appello a tutte le sue risorse per trovare una via d’uscita.
I pannelli solari erano la chiave di volta: se in qualche modo essi avessero ricevuto abbastanza energia, il motore avrebbe potuto rimettersi in funzione. Pensò e ripensò alle sue innumerevoli missioni, a tutte le occasioni in cui lui e Victor se l’erano cavata grazie a qualche geniale trovata. Nulla però gli sembrava adatto alle circostanze.
L’unica fonte di energia rimasta era quella dei laser… i laser della navetta da ricognizione!
“Victor!” -esclamò Typler. “Pensi che i pannelli sopporterebbero una scarica dei laser?”
“Credo di sì…” -rispose lo scienziato intuendo dove l’amico voleva arrivare. “Ma certo! Se utilizzati alla giusta intensità, l’energia fornita sarebbe in grado di ricaricare il motore temporale! Attenzione però: il viaggio del tempo dovrà essere attivato nel giro di pochi secondi, perché se tentassimo di immagazzinare una tale scarica rischieremmo un sovraccarico fatale!”
“Si pone un altro problema, allora” -il volto del comandante tornò pensieroso. “Chi guiderà la navetta potrebbe non avere il tempo per rientrare”
“Alan ce la farà, John!”
Alan Carter, esperto pilota delle avveniristiche astronavi da ricognizione Aquila, aveva già intuito tutto. Aveva visto parlottare Davies e Typler e dagli sguardi che gli stavano rivolgendo sapeva che era giunto il momento di dare il suo contributo. Del resto il suo posto non era certo davanti a un computer. Lui era abituato ad avventurarsi nello spazio per sfidare ogni sorta di pericolo. La proposta dei due lo trovò pronto all’azione.
“Alan” -gli disse Typler- “nessuno è in grado di pilotare un’Aquila come te, ma non me la sento di ordinarti una missione tanto rischiosa. Sappi che potremmo valutare altre soluzioni nelle prossime ore”
“Sa meglio di me, comandante, che non possiamo permetterci di aspettare ancora. Ditemi che devo fare!” -rispose il pilota, tradendo lo spirito di avventura che più volte gli aveva fatto rischiare la vita. Come durante l’esplorazione dell’asteroide Eros, quando aveva affrontato una tempesta di meteoriti per salvare dieci compagni rimasti bloccati nello spazio.
“Quella che ti prospettiamo è una missione che potrebbe essere senza ritorno. Dovrai prendere un’Aquila e condurla fuori, nella tempesta” -Victor puntò il dito verso l’esterno, dove il vento sembrava aumentare ogni minuto d’intensità. “Con i laser regolati al minimo della potenza” -gli spiegò Davies- “punterai al centro dei pannelli. Una sola scarica, poi dovrai rientrare più in fretta che puoi. Avrai solo dieci secondi prima che le paratie stagne inizino a chiudersi”
“Ce la farò!” -disse sicuro Carter. “A casa mi aspettano!” -aggiunse con una punta di spavalderia.
“Ok, in bocca al lupo” -Typler lo salutò come se potesse essere l’ultima volta.
“Ci rivediamo tra pochi minuti” -ribadì Carter con una tranquillità quasi sfacciata.
In pochi minuti la sua Aquila 1 era già sopra il mare di ghiaccio, in lotta con la bufera di neve che imperversava violentissima. Nelle immagini dei monitor la piccola navicella sembrava un giocattolo in balia della tempesta.
Davies ne seguì la sagoma imbiancata dalla vetrata della sala comando. Si sentì in colpa per aver provato un entusiasmo tanto infantile di fronte alla disavventura capitata loro. Ora Alan era là fuori, a rischiare la vita per tutti.
“Tutto pronto” -annunciò il pilota. “Laser sul minimo, pannelli inquadrati”.
“Fai fuoco…” -gli disse Typler con la voce strozzata.
Il fascio rossastro uscito dal cannone dell’Aquila colpì esattamente nel centro i pannelli solari, rendendoli incandescenti.
“Energia del motore temporale al massimo” -esultò Morrow- “dieci secondi al via!”.
“Alan!” -il pensiero di Typler andò subito al collega nell’Aquila.
Il comandante vide la navetta dirigersi faticosamente verso il portellone d’entrata, perdere più volte l’assetto sotto le sferzate del vento, poi ritrovarlo, quindi sbandare di nuovo.
Le paratie si chiusero lentamente, impedendo di verificare se la manovra di Carter fosse riuscita.
“Trasferimento temporale in corso” -confermò Morrow dopo pochi secondi.
“Alan, Alan” si sgolò Typler.
“Trasferimento completato!”- la notizia non riuscì a sciogliere la tensione.
“Alan, sei rientrato…?”
“Perché non dovrei essere rientrato?” -rispose d’un tratto Carter. “Comandante, speravo avesse più fiducia nelle mie capacità” -scherzò.
“Alan, bentornato!” -Typler era talmente sollevato che in quel momento avrebbe incassato qualunque sfottò. “Ci hai fatto stare in ansia!”
“Paul, rapporto!” -continuò riprendendo il solito tono. Non ce ne fu bisogno.
“Navicella Alpha, rispondete. Base operativa a navicella Alpha…” -la voce diffusa dagli altoparlanti portò sollievo in tutte le sezioni.
“John che è successo?” -chiese la dottoressa Wheeler entrando in sala macchine.
“Nulla di grave, Helena” -le rispose Typler. “Siamo tutti a casa, questo è l’importante…”
Note
1) Si usa suddividere il passato del pianeta Terra in ere, costituite da un certo numero di periodi, che a loro volta si compongono di epoche.
2) La formazione della Pianura Padana è recentissima. Prima delle glaciazioni essa si trovava, infatti, al di sotto del livello del mare e ospitava un vasto golfo interno. L’enorme mole di sedimenti trasportati dai fiumi alpini colmò la depressione, portando gradualmente alla situazione attuale.
3) Eruzioni vulcaniche si ebbero nelle aree del Montello (Vicenza), dei Colli Euganei (Padova) e del Monferrato (Asti).
Bel racconto, complimenti!