Rosetta, chiariamo una cosa…
Ha dell’incredibile l’atterraggio (ma in futuro, grazie al neologismo coniato dall’Agenzia Spaziale Italiana, lo chiameremo forse “accometaggio”) di Philae, il piccolo lander rilasciato dalla sonda Rosetta nei pressi della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko il 12 novembre 2014. Dopo un viaggio di oltre dieci anni la missione ha raggiunto l’obiettivo: far toccare il suolo di una cometa ad un congegno umano. Ho dovuto ripetermelo più volte per comprendere appieno la portata dell’evento: una sonda inviata dall’uomo è scesa su uno dei corpi celesti più bizzarri dell’universo: la fantascienza sta diventando scienza!
Sono innumerevoli le fonti alle quali attingere informazioni sulla missione e sulla cometa; cercherò di riassumerle in questo pezzo, aggiungendo poi al mosaico un tassello che ritengo molto importante.
67P/Churyumov-Gerasimenko o Cometa Churyumov-Gerasimenko, un corpo simile a un asteroide ma composto soprattutto di ghiaccio, ha forma irregolare e dimensioni di circa 3,5 km x 4 km. Esso impiega solamente sei anni e mezzo per compiere il suo moto di rivoluzione attorno al Sole: si tratta infatti di una cometa gioviana, orbitante dunque in una fascia compresa grosso modo tra gli asteroidi e il pianeta Giove. Quest’ultimo, con la sua enorme massa (oltre 300 volte quella della Terra) è in grado di condizionare, e talvolta stravolgere, le loro orbite. Atterrare su 67P/Churyumov-Gerasimenko non deve essere stato per nulla facile considerando che la cometa ruota su se stessa in meno di 13 ore e viaggia nello spazio a 18 chilometri al secondo!
Il 12 novembre 2014 il lander Philae (modestissime le dimensioni: 1 x 1 x 0,8 m, peso 98kg) si è separato da Rosetta dirigendosi verso la cometa e atterrandovi alle 17:03 italiane, dopo circa 7 ore di volo, a 500 milioni di chilometri dalla Terra.
La sonda è stata così battezzata per ricordare la stele di Rosetta, manufatto dell’antichità che riportava uno stesso testo in tre lingue diverse, tra cui il geroglifico, che permise all’archeologo francese Champollion di tradurre l’antica lingua egizia. Il lander è stato invece battezzato Philae (si legge “file”), dal nome di un’isoletta sul Nilo dove fu ritrovato un obelisco con iscrizioni in greco e geroglifico.
Purtroppo la fase di atterraggio non è andata esattamente come doveva: l’impatto con la cometa è stato più complicato del previsto a causa di alcuni problemi tecnici, non ultimo il mancato funzionamento degli arpioni che avrebbero dovuto ancorare Philae al terreno, tanto che l’unico fissaggio è affidato a tre piccole trivelle posizionate sui piedini. Questo è un grosso problema, in quanto la massa della cometa (circa dieci miliardi di tonnellate) implica una scarsissima gravità superficiale (10-3 m/s2, un decimillesimo di quella terrestre, con una velocità di fuga di circa 0,46 m/s); il rischio, non del tutto azzerato nemmeno dopo l’atterraggio, è che il lander possa perdersi nello spazio! È stato infatti rilevato che esso ha subito due rimbalzi, toccando il suolo tre volte, prima di stabilizzarsi sulla superficie: dopo il primo contatto, Philae è rimbalzato nello spazio con una velocità di 0,38 m/s (molto vicina quindi alla velocità di fuga!) ed è rimasto in volo per quasi due ore, raggiungendo una quota di circa 1 km; al secondo rimbalzo ha toccato una velocità di 0,03 m/s, tornando definitivamente sulla superficie della cometa dopo sei minuti. Di conseguenza, il sito in cui si è posato il lander non corrisponde a quello originariamente programmato.
Non è andata benissimo neanche per quanto riguarda l’alimentazione tramite pannelli solari: il 16 novembre, quattro giorni dopo il suo arrivo, Philae è entrato in ibernazione per mancanza di energia in quanto finito in una zona dove la luce del sole giunge solo parzialmente. I trapani del lander hanno quindi funzionato solo per breve tempo, ma la mole di informazioni giunta a terra è comunque enorme.
Il futuro di Philae è incerto: si spera che nei prossimi mesi, con l’avvicinamento della cometa al Sole, i pannelli siano in grado di ricevere energia sufficiente per permettere la riaccensione del lander e avviare nuovi, preziosissimi rilevamenti.
A questo punto la doverosa precisazione perché di articoli, pagine web e interviste a scienziati ne ho letti e sentiti moltissimi, ma nessuno ha spiegato al comune mortale, non avvezzo a temi astronomici, un concetto fondamentale: nell’immaginario collettivo, infatti, la cometa è infatti un corpo celeste splendente, caldo e luminosissimo, oltre che dotato di una lunga coda. Perché dunque le prime foto giunte da “lassù” ritraggono un corpo dall’aspetto roccioso e per nulla brillante?
La spiegazione, tutto sommato, è piuttosto semplice; proprio per questo mi stupisco che nessuna fonte (perlomeno quelle da me consultate) l’abbia fornita. La cometa assume l’aspetto che siamo abituati a pensare (e disegnare) solamente nel tratto di orbita più vicino al Sole. Solo quando il calore della nostra stella è sufficiente a vaporizzare gli strati esterni di queste “palle di neve sporche” (composte per la maggior parte di sostanze volatili come biossido di carbonio, metano e acqua ghiacciati, oltre ad aggregati di polvere e vari minerali), esse si “accendono” e si mostrano in tutta la loro bellezza. Le correnti di polvere e gas così prodottesi formano la chioma, un’enorme ma rarefatta atmosfera attorno al nucleo; la forza esercitata su di essa dalla pressione di radiazione del Sole e dal suo “vento” (un flusso di particelle cariche) conducono alla formazione di un’enorme coda che punta in direzione opposta alla nostra stella.
Si pensi che normalmente il diametro del nucleo di una cometa è inferiore ai 50 km, mentre la chioma può superare le dimensioni del Sole (diametro di 1.400.000 km) e sono state osservate code di estensione superiore ad una unità astronomica (150 milioni di chilometri)! Questa sfilata nel cielo implica per la cometa una perdita di massa che la porterà ad una lenta consunzione: pavoneggiarsi nello spazio risulta dunque poco conveniente!
AGGIORNAMENTO: Il 27 luglio 2016 la missione di Philae si è ufficialmente conclusa. Il dispositivo a bordo di Rosetta, che permetteva le comunicazioni contatto con il lander, è stato spento perché ormai inutilizzato dal luglio 2015.