Tappa e maglia!
L’arrivo del maltempo era previsto da giorni e io non potevo mancare all’appuntamento con un’altra delle mie solite, sconsiderate avventure…
È il giorno giusto.
Il cielo plumbeo, carico di pioggia, sembra lo stesso che accompagnò l’impresa al Tour del 1998 di un certo Marco Pantani, scattato a 47 chilometri dal traguardo di Les Deux Alpes per andare a indossare la maglia gialla, portata poi fino a Parigi.
La mia idea, insana come al solito, è quella di ripercorrere idealmente la parte finale di quell’avventura, o di immaginarne una simile, una di quelle che il Pirata avrebbe saputo sicuramente costruire se l’invidia e la malafede non lo avessero ferito mortalmente…
La bici è pronta. Non è un gran che, trattandosi di quella che utilizzo durante i giorni di lavoro. E nemmeno io, per dirla tutta, sono un bel vedere. I sacchetti di nylon a impermeabilizzare i piedi non sono l’ultimo ritrovato in fatto di abbigliamento sportivo e il mix di abiti borghesi e di qualche accessorio ciclistico messo su alla meno peggio non fanno certo intendere le mie bellicose intenzioni. Ma mi devo arrangiare con quello che passa il convento, dato che mi trovo in ufficio e non a casa.
Sono le 14.15, si parte. Sbuco dal garage e mi trovo sotto un’abbondante pioggia, a improvvisare una passerella per le strade del quartiere.
Ma pedalicchiare non fa certo parte del mio repertorio, e poi bisogna cominciare subito a scaldarsi… e allora via, senza perdere altro tempo, con uno scatto che mi libera finalmente dell’ingombrante presenza della città e mi regala, come quel giorno aveva regalato al Pirata, l’esaltante sensazione di essere al comando, solo, sotto il diluvio, con la stupenda consapevolezza di doversela cavare senza l’aiuto di nessuno.
Meglio non pensare alla temperatura, quattro gradi o giù di lì. E non è nemmeno il caso di voltarsi, perché gli avversari potrebbero essere a un passo, pronti ad approfittare del minimo segno di cedimento…
Metto in pratica il detto del Pirata, quando ricordava che andando a tutta si abbrevia l’agonia…
Sono partito da poco, ma come immaginavo freddo e umidità sono già nelle ossa. Alzo la testa, guardo verso le colline che mi sovrastano e vedo la neve imbiancare tutto… sembra a portata di mano! “Che bellezza” -direi se ci fosse tempo… ma in fuga si dà tutto e non c’è tempo per guardarsi tanto in giro. Torno con la testa bassa e lo sguardo fisso sulla strada, sempre avanti.
Freddo, fatica, ma cerco di non pensarci, provo a imitare la determinazione del Pirata nel portare a termine le sue imprese, me lo vedo con quella espressione un po’ corrucciata dei tempi migliori. Resto un po’ con quell’immagine in testa, senza pensare a nient’altro e i pedali iniziano a girare bene, quasi in armonia con il tambureggiare dei goccioloni di pioggia che si stampano sul casco.
Strane sensazioni in quei momenti, da assaporare lentamente. Chissà perché sembra di avere in tasca tutto il necessario per essere felici…
Venti chilometri sono passati, il primo strappo è in vista. Lo affronto con prudenza, è breve ma durissimo, e poi dopo c’è un’altra salita, qualcosa devo risparmiare. Gli avversari dove saranno? Naufragati nella bufera, o forse subito dietro quella curva?
Duro salire così, senza riferimenti, senza un aiuto, senza nulla oltre all’essenziale. Duro e stupendamente bello.
Metà salita, pioggia e neve. Si sale solo con il rapportino perché gli abiti inzuppati pesano, eccome. Scollino, ed è una piccola bufera. Morale alle stelle, adoro la neve, ma il freddo è tanto.
Una improvvisata cronaca stile “Radio Corsa” è quello che ci vuole per riscaldarsi un po’ e distrarre l’attenzione da sensazioni fin troppo forti.
“Marco Pantani sta valicando la prima asperità di giornata” è il commento, urlato, che scivola fatalmente nell’enfasi.
“Attenzione… discesa che risulterà molto difficile in queste condizioni” -continuo simulando l’inconfondibile parlata del telecronista di quei tempi, Adriano De Zan.
“Il Pirata dovrà ora mantenere forza e lucidità pari a quelle dimostrate in salita”. E non è facile, soprattutto per chi non è un campione, portare ormai intirizzito una bici in fondo a un discesone di tutto rispetto, per di più sotto una fitta nevicata.
In qualche modo, comunque, ci arrivo.
“Attenzione” -gracchia ancora la voce- “siamo tornati in pianura. Tra poco assisteremo all’ultima ascesa di giornata. Cinque chilometri di salita che sigilleranno questa nuova, grande impresa di Marco Pantani”.
La mia è una cronaca con la voce rotta non solo dal freddo, ma anche dall’emozione e dalla rabbia per quello che è stato e per quello, soprattutto, che poteva essere e non è stato. Urlata al freddo e alla neve, quasi a prendermi una vendetta che in quei momenti sembra finalmente di poter consumare.
Chi è tifoso del campione di Cesenatico sa di che cosa sto parlando.
“Inizia proprio ora l’ultima asperità, cinque chilometri al Gran Premio della Montagna!” -grido a tutto e a nessuno, con le mani gelate che implorano qualcosa di asciutto e i muscoli indolenziti, ma pronti a prestarsi docilmente a questa mia ultima incoscienza.
Pendenza del dodici per cento… sarà che per il freddo non sono più tanto lucido, ma riesco a immedesimarmi così bene nella parte che mi sembra di avere nelle gambe una metà della potenza del Pirata. E con una tale dotazione, un dodici per cento non può che far sorridere.
Riprende a nevicare bene, pian piano un velo bianco copre tutto, anche la strada.
“Ricorderemo per sempre” -prosegue affannato, ma imperterrito, il commento- “questa impresa sotto la neve del Pirata, che lo consacra come il più temerario corridore di tutta la storia del ciclismo. Ecco, Marco Pantani si alza ancora una volta sui pedali, si volta e scruta in fondo alla discesa. C’è il nulla alle sue spalle… è fattaaaaa!”
“Ultimo chilometro” -l’annuncio, più che una liberazione, suona come l’approssimarsi della conclusione di una bellissima avventura che vorrei non finisse.
“Ultime pedalate! Pantani vola potente e sicuro verso la conquista della tappa!”.
Non c’è né tempo ne voglia in vetta per indossare una mantellina, dopotutto mancano solamente quattro chilometri di discesa. Il fondo stradale è impastricciato di neve, e il vento mi riempie la faccia di fiocchi grandi e bagnati. E’ difficile anche capire quando e come curvare. Mi rendo conto che una caduta sarebbe un disastro: non so se riuscirei ad alzarmi con il freddo che ho addosso e con quei vestiti fradici, buoni solamente ad acuire i brividi. Ne ho passate di peggio, comunque!
Ecco, ultimo rettilineo, ci sono! Passo un ideale traguardo sgolandomi di gioia e rabbia, come un fuori di testa: “Tappa e maglia! Tappa e maglia per Marco Pantani! Grandissima impresa!”.
Immagino i cronisti che corrono verso il Pirata, il suo entourage che lo protegge amorevolmente e lo scorta verso il camper della squadra, lui che non sembra nemmeno tanto provato, appiccicato alla sua amata bicicletta, compagna di una nuova, fantastica cavalcata.
Chiudo la porta della cantina e torno sulla terra con una nuova, piccola gioia nel cuore.
Grazie ancora e sempre, Pirata! Alla prossima!

Stremato, o quasi…